Speranza, Indignazione, Coraggio

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Indignarsi” o “Indignazione” è un termine poco usato nel linguaggio quotidiano. Quando va bene usiamo “arrabbiarsi” o “rabbia”; quando va male si cade nella volgarità. il papa ha invitato in maniera nuova e fortissima i giovani ad un impegno sociale: Benedetto XVI chiede a tutti di impegnarsi di più nella vita civile ed in particolare invita i giovani a non guardare il loro futuro con ansia e timore, a non rinunciare ai loro sogni, ma a cercare tenacemente risposte alle loro domande. Nessuna rassegnazione e tanta speranza, insomma: è questa la «generazione di Benedetto XVI. In effetti l’indignazione, cioè una certa rabbia davanti alle cose storte o addirittura malvagie appartiene alla fede cristiana. La pensava così sant’Agostino. Diversi autori (tra cui il Prof. Zamagni da cui ho sentito la citazione) attribuiscono al santo vescovo di Ippona, questa frase: “La speranza ha due figli bellissimi: l’indignazione e il coraggio. L’indignazione davanti alle cose così come sono, il coraggio per cambiarle! (“Spei duo pulchri liberi sunt: indignatio et animus. Prima ante res ut sunt, secundus ad mutandas.”) La speranza cristiana dunque è madre di indignazione e coraggio. Vediamo perché.

La speranza

La speranza, per i cristiani, è una virtù che è data all’uomo dal dono di Dio. Nasce e cresce frequentando il Signore. E’ la certezza che Dio è vicino e non ci abbandona, né ora né mai. Così possiamo essere sicuri di non perderci. E’ così essenziale alla vita cristiana che ha la stessa importanza della fede e della carità, e il suo opposto, la disperazione, è un atteggiamento grave quanto l’incredulità o la mancanza di amore. Il papa più volte ci ha richiamati a custodire la speranza ricordandoci che quando si è privi di essa non si cammina. A chi è più giovane e a chi ha il compito di educare il papa ricorda che l’«anima dell’educazione» si radica in una «speranza affidabile». Senza speranza un ragazzo non avrà motivazione e forza per lottare per un futuro! La speranza dei cristiani è fondata sulla resurrezione di Gesù: Lui ha vinto la morte ed è con me, anzi in me. Con Lui posso lottare contro ogni forza di male ed essere certo che vincerò anche la morte, o meglio, Lui in me vincerà anche la morte! La speranza cristiana è la certezza che qui ci può essere un mondo migliore e, dopo la morte, il paradiso.

L’indignazione

L’indignazione è uno stato profondo dell’animo che i vangeli attribuiscono spesso a Gesù. Davanti alla durezza di cuore dei capi di Israele, davanti al disprezzo dei piccoli da parte dei suoi discepoli… L’apostolo Paolo suggerisce: Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira,e non date spazio al diavolo. Insomma bisogna arrabbiarsi! Certo non si parla dell’ira di un uomo che non sa controllarsi o vuole a tutti i costi affermare se stesso… Cos’è dunque l’indignazione e perché è figlia della speranza? La scrittura definisce indignazione la partecipazione di un uomo al giudizio di Dio sul male. Come Dio si arrabbia davanti al male e lo vuole cambiare, così l’uomo di Dio vive un sentimento di indignazione davanti all’andare male delle cose di questo mondo e vorrebbe vederle andare diversamente, secondo la volontà di Dio. E’ proprio la speranza, cioè la certezza che il mondo può essere migliore che fa nascere l’indignazione. Esiste dunque un’indignazione bella e vera, che non fa barricate e non usa violenza, che non si lascia strumentalizzare da nessuno, ma che sa guardare in faccia i problemi, sente profondamente le cose, evita la pigrizia e la banalità, sa prendere su di se la ricerca della soluzione delle questioni.

Il coraggio

Nel vangelo si parla spessissimo di coraggio: è l’atteggiamneto chi sa stare a testa alta e parlare francamente, senza paura di nessuno. Gli apostoli mostrarono molto coraggio nel testimoniare una fede che li portò a subire persecuzione e morte… Nella frase di Agostino il coraggio è figlio della speranza, perché solo chi intravvede un futuro possibile si impegna rischiando e a testa alta. Se uno non pensa ci sia futuro non si impegna più di tanto. Certo esiste un coraggio disperato: è quello di chi ha il coraggio di rischiare la propria vita per niente (per un gioco, per una bravata…). Ma esiste anche il coraggio pieno di speranza di chi accoglie con gratitudine il dono di figli e vuole lasciare a loro un mondo vivibile, di chi si impegna per il bene di tutti, di chi porta avanti lotte per la giustizia, per il rispetto dell’uomo e del suo preziosissimo ambiente, di chi sa che ora ha dei talenti, ma gli sarà chiesto se li ha usati bene…

Noi cristiani testimonieremo vera speranza se sapremo indignarci contro tutto ciò che è ingiustizia e causa di sofferenza e se avremo sempre il coraggio di credere che cambiare non solo è possibile, ma necessario. E su questa strada possiamo incontrare tante donne e uomini di buona volontà, che non per interesse di parte, ma per desiderio di bene vivono lo stesso impegno. Solo così saremo di aiuto ai più giovani per liberarli da una vita pigra, superficiale e spesso piena di paure!

Don Paolo

La fede cresce crescendo

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Dice il proverbio: l’appetito viene mangiando. Sembra un controsenso: mangiando il desiderio di mangiare, l’appetito appunto, dovrebbe diminuire non crescere! Sappiamo invece che è una regola generale della vita dell’uomo. Essa vale ancora di più nelle nostre amicizie e nei nostri affetti: più ci si frequenta con persone amiche, più cresce il desiderio di vedersi… Al contrario, più si lascia passare il tempo, più l’amicizia può raffreddarsi. Mi direte che non è sempre così. Verissimo… So però che così succede nel rapporto con il Signore Gesù, il risorto, ora vivo nella comunità che ascolta la Sua parola e celebra i Suoi gesti. Ascoltiamo la parola del Papa, nel momento in cui si rivolge alla Chiesa universale, invitandola a vivere l’ANNO DELLA FEDE (dall’ 11 ottobre 2012 a novembre 2013) : “I credenti si fortificano credendo”. Sant’ Agostino aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. La sua vita infatti fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio. La sua esperienza lo spinge ad affermare che “solo credendo, la fede cresce e si rafforza”; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un Amore che si sperimenta sempre più grande, perché ha la sua origine in Dio. Continua il Papa: La “porta della fede” che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa, è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma… La Chiesa nel suo insieme, ed i pastori in essa, come Cristo si mettano in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza. In questo ANNO DELLA FEDE, nato per celebrare i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II ed i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa esorta chi si dice cristiano a non dare per “scontata” la propria fede. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Noi diciamo di essere cristiani e forse non crediamo sul serio in Gesù vivo oggi! Anche la nostra comunità è spesso apprezzata per i servizi culturali e sociali che svolge, ma il suo vero compito è porre ognuno di fronte alla presenza viva di Gesù risorto. Sapremo farlo? Riprendiamoci il tempo per la preghiera, comune e personale, per l’approfondimento della conoscenza della Parola di Dio, per i sacramenti ben celebrati nella comunità. L’anno della fede ricorda a tutti noi che la fede cresce solo credendo!

 

Don Paolo

Luce da non perdere

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«Se la pianta non si orienta verso la luce, appassisce. Se il cristiano rifiuta di guardare la luce, si ostina a guardare solo le tenebre, cammina verso la morte lenta, non può crescere né costruirsi in Cristo. »      (frère Roger di Taizé). Non ostiniamoci a guardare solo le tenebre! So bene che non mancano i motivi per guardare alle situazioni di buio, alle cose che non vanno… Ma a fare così si appassisce, ci si intristisce e questo non è ciò che vuole il Signore. E lui, il Signore, cosa fa per liberarci dal buio? Nel nostro mondo la luce è sempre “precaria”: sia nella vita personale come nella vita sociale vediamo bene l’alternarsi di luci e tenebre, e alle volte il prevalere delle tenebre. Dal nostro punto di vista (terrestre) non possiamo non constatare che la morte sancisce il prevalere delle tenebre. Fu così anche nella morte di Gesù quando “si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio”: le tenebre sembrarono vincere la luce proprio nel suo massimo splendore (da mezzogiorno alle 3)! Se non si vuole appassire ci vuole un’altra luce, più stabile e che vinca la precarietà, una luce non di questo mondo e “a tempo indeterminato”! Questa luce può venire solo da un altro mondo ed è ciò che il Signore fa per noi. E’ la luce che trovo solo nella Pasqua di Gesù, nella sua resurrezione. L’annuncio della sua resurrezione è l’unica luce che può dare vita. Dubiteremo ancora per molto? Il fatto che la resurrezione è incomprensibile pienamente alla nostra mente e che i nostri sensi non sperimentino il corpo del risorto ci terranno ancora per molto lontano dall’avere fede in Lui anche se non vediamo, ma udiamo soltanto l’annuncio dei testimoni? Non vorrei che ci decidessimo troppo tardi, quando ormai abbiamo passato tutto il nostro tempo senza la chiara certezza della presenza di Gesù con noi, della sua vittoria sulla nostra morte, del suo paradiso. Senza la luce del risorto la nostra vita quotidiana rimane incerta, precaria, sempre esposta alla paura: ogni piccola cosa diventa un problema, l’orizzonte si accorcia, non si ha neanche il coraggio di chiederci fino in fondo se tutto ciò che viviamo ha veramente senso. Per non parlare delle ferite e dei fallimenti: diventano un dramma veramente inaffrontabile. Ma noi non siamo creati per fare a meno della luce del Risorto; e se accettiamo di credere in essa allora succede una vera trasformazione. Lo dico ancora con le parole di frère Roger di Taizé : “A poco a poco Cristo trasforma e trasfigura tutte le forze ribelli e contraddittorie che ci sono dentro di noi… Una volta trasfigurata da Cristo, anche le ferite e gli insuccessi si trasformano in una fonte di energia, in una sorgente da cui scaturiscono le forze di comunione, di amicizia e comprensione. Questa trasfigurazione è l’inizio della risurrezione sulla terra, è vivere la Pasqua insieme a Gesù; è un continuo passare dalla morte alla vita.” La pretesa di Gesù, di essere la Luce che illumina la nostra vita quotidiana, va accolta. Così la sua pretesa di essere il nostro compagno di viaggio; lo sarà se avremo il coraggio della preghiera e dell’ascolto. Buona pasqua! d. Paolo Signore, che nessun nuovo mattino venga ad illuminare la mia vita senza che il mio pensiero si volga alla tua Resurrezione e senza che in ispirito io vada, coi miei poveri profumi, verso il sepolcro vuoto dell’orto! Che ogni mattino sia per me mattino di Pasqua! Che ognuno dei miei risvegli sia un risveglio alla tua presenza vera, un incontro pasquale con Cristo nell’orto, questo Cristo talvolta inatteso. Che ogni episodio della giornata sia un momento in cui io ti senta chiamarmi per nome, come chiamasti Maria! Concedimi allora di voltarmi verso di Te. Concedimi con una parola sola ma con tutto il cuore, di rispondere: “Maestro!”

 

Tonino Bello

Un cammino conveniente

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Tra fine novembre e inizio dicembre abbiamo avuto in parrocchia la visita di tre missionari della Comunità Missionaria di Villaregia. Al primo incontro, padre Marco (uno dei tre) ha esordito chiedendoci come mai quando litighiamo con qualcuno, quando creiamo rotture con gli altri, poi in fondo al cuore ci stiamo così male? Il motivo decisivo è che non siamo fatti per litigare, ma per vivere in comunione. L’immagine che portiamo scritta in noi stessi è quella della Trinità divina. Il Dio che si è rivelato pienamente in Gesù di Nazareth è, come preghiamo abitualmente, Padre, Figlio, Spirito Santo: un Dio in tre persone unite e che si amano e non un Dio unico e solitario. Proprio all’inizio della Bibbia, Dio-Trinità dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza…”. Stupisce questo plurale, “Facciamo … a nostra…”. Dio parla con suo Figlio e con lo Spirito ed insieme disegnano l’uomo a loro immagine e somiglianza, quindi un uomo che non può stare nella solitudine e nella separazione perchè fatto ad immagine di una comunione. Quando l’uomo segue la propria natura e fa unità con gli altri ha pace; quando non segue questo è nella sofferenza. Non solo. L’unità con gli altri rende davvero presente il Signore che dice: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”. E la presenza del Signore tra noi è certamente vita, luce, coraggio, rinnovata capacità di lottare per il bene. La festa di Natale che giunge portando la sua luce nella corsa dei nostri giorni, è occasione preziosa per tutti, credenti e non, per sentire la nostalgia profonda dell’unità e della pace. C’è poco da fare: a Natale i nostri vecchi litigi e le nostre fratture ci fanno più male. Sappiamo bene che andrebbero superate. Il bimbo, da quella culla povera, ci dice che la bellezza e la pace abitano là dove si è fedeli alla propria immagine più profonda, fedeli alla comunione e all’unità. Ma il Bimbo di Betlemme, non è solo un maestro, Egli sa lottare; è “Grazia apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (lettera di Paolo a Tito 2,11) che libera dal Diavolo (parola greca che significa colui che crea fratture). Paradosso di Gesù: per “stare in pace” ci vuole la lotta! Lotta contro tutto quello che vorrebbe portarmi a giudicare senz’appello gli altri, a separarmi da loro, ad affermare con violenza la mia posizione. In famiglia, nel lavoro, in comunità, nella politica, dovremo lottare contro il principio della divisione e della menzogna. La scoperta che i cristiani fanno è che questa strada conviene! E’ più facile, meno dispendiosa di energia e decisamente più bella: “Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e io vi ristorerò. Imparate da me che sono mite e umile di cuore…” dice Gesù. Per questo la nostra comunità celebra il Natale pregando. Pregare è come allungare la mano perchè il dono, già pronto, diventi nostro. Vogliamo pregare, perchè la sua forza entri in noi, e la nostra vita sia più fedele al progetto, all’immagine originaria. La pace del Natale viene da lì. Allora, Bimbo Santo aiutaci nell’unità  e ascolta la nostra preghiera:

Vieni Signore Gesù, illumina la notte di speranza, accendi il desiderio di incontrarti; Tenerezza di Dio verso ogni uomo, Tu – solo – ci rivestirai di gioia. Vieni Signore Gesù, pane dei poveri del mondo, sei lievito d’eterno nella storia; sorgente zampillante di bellezza Tu – solo – ci disseterai d’Amore. Vieni Signore Gesù, copri col tuo mantello la nostra umanità ferita; fuoco che sempre brucia di perdono, Tu – solo – ci riscalderai di Pace.

 

Don Paolo

Cambiare

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Tutti vorremmo ritrovare un modo di vivere più vero, più umano: bisognerebbe cambiare un po’ i ritmi, i rapporti; ci piacerebbe avere meno ansie e preoccupazioni. Invece lo stile di vita che si và affermando nel nostro mondo ha tutt’altra caratteristica. E tutti abbiamo l’impressione di essere dentro ad un mondo che non possiamo cambiare. Ci sembra di essere su un treno ormai lanciato dal quale ora non possiamo scendere e nemmeno possiamo guidare. “Tocca ai potenti del mondo, a chi conta, cambiare le cose. Noi, povera gente, cosa possiamo fare?” La Pasqua è la festa dei cambiamenti: cambia la stagione (finalmente!) e cambia la vita e la morte degli uomini! Cambia la vita degli uomini…sì, perché le donne e gli uomini che credono alla Pasqua sono capaci di grandi rivoluzioni. “La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’ importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno”   (Atti, 4) D’istinto, in questo testo, osservo cosa fanno gli apostoli: null’altro che annunciare e testimoniare la resurrezione del Signore Gesù. La certezza della resurrezione di Gesù crea due conseguenze:  tutti hanno il coraggio e la forza di vivere uniti; nasce una comunità che si prende a cuore il bisogno di ognuno e non ci sono più “bisognosi”. Nessun piano sociale, nessuna manovra economica! “Davano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù”. Tenere davanti agli occhi la certezza della resurrezione di Gesù e della propria resurrezione dà ai cristiani la forza per azzardare un nuovo modo di vivere, senza paura. E chi non ha paura di rimetterci, di perdere qualcosa, di non farcela, di rimanere solo, è libero per occuparsi con gioia e concretezza anche del bisogno degli altri. La Pasqua poi cambia la morte degli uomini: quel mostro che è appunto la morte, “entrato nel mondo per invidia del Diavolo” (Sap. 2…) e non per volere di Dio, con la resurrezione di Gesù diviene il passaggio alla Vita Eterna, la nascita alla Pienezza, come per i semi gettati nei campi in questi giorni che morendo iniziano a vivere pienamente. E’ la paura della morte che rende noi uomini prede dell’attaccamento malsano alla vita; solo la certezza che l’amore del Padre per ognuno di noi è più forte della morte, rende vivibile nella pace gli istanti di questa vita. E sia così per tutti noi: questa Pasqua sia l’inizio di una vita nuova, nel Signore Gesù…BUONA PASQUA !  Dice il salmo 15 Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.

 

Don Paolo

Assonanze di Natale

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La nascita di Dio nel mondo degli uomini, il Suo diventare uno di noi, non è solo un fatto storico avvenutopoco più di duemila anni fa.In Gesù, Dio si è unito a tutta l’umanità, ad ogni uomo, fatto a Sua immagine e somiglianza: così nell’intimodi ognuno c’è la Sua presenza, e nella festa del Natale celebriamo la Sua vicinanza, unica vera vittoria delle nostre solitudini. Don Mazzolari, commentando uno dei nomi che il vangelo attribuisce a Gesù, si esprimeva così:

«A lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi. Egli viene dove volete, dove vi piace, avendo preso dimora con voi: in casa vostra, in fabbrica, in piazza. Ovunque andiate, Egli vi segue: anzi, ci ha preceduto. Egli occupa ogni cosa nostra, e ogni nostra abitazione, da quando si è fatto uomo per stare con noi…Egli ci attende e ci raggiunge, ci rampogna e ci consola, sta all’avanguardia e alla retroguardia, a seconda del nostro camminare a ritroso o in armonia con noi stessi. Egli cammina con ognuno su tutte le nostre strade. Come “sentire e vedere”

questa intima presenza? Perché una persona si converte a Dio e al Suo amore? Perché incomincia a riconoscerlo? I motivi possono essere tanti e tanti sono gli uomini e le donne che accolgono il dono del rapporto con il Padre, ognuno con una sua storia. Ne scelgo una, raccontata da Madre Teresa di Calcutta:

“Non lo potrò mai scordare: una volta venne alla nostra casa del moribondo un ateo. Pochissimi minuti prima che arrivasse lui, diverse persone avevano portato dentro un uomo raccolto per strada. Probabilmente lo avevano raccolto in una fogna o in un immondezzaio, poiché era ricoperto di vermi. Una sorella si prendeva cura di lui, senza avvedersi che qualcuno stava osservando il suo modo di toccare l’infermo, di guardarlo, di sorridergli e tutto quanto il resto. Per caso, anch’io mi trovavo lì in quel momento. L’ateo stava lì in piedi e osservava la sorella. Quindi venne verso di me per dirmi: “Sono venuto qui senza Dio. Ho potuto osservare l’amore di Dio in azione. L’ho visto attraverso le mani di questa sorella, attraverso il suo volto, attraverso la sua tenerezza, attraverso il suo amore per quel povero infermo. Sì, madre, ora io credo”. Da parte mia, posso assicurare che non lo conoscevo. Tanto meno sapevo che fosse un ateo, stando a quel che mi disse.”  

Come può, quell’ateo, dire di aver scoperto l’amore di Dio? Ha visto semplicemente una donna prendersi cura di un uomo in grave difficoltà…Certe parole (e principalmente la Parola di Dio contenuta nelle Scritture Sacre), certi gesti (e principalmente i Sacramenti della Chiesa), certe storie (e principalmente quelle di amore vero, di dedizione sincera)… hanno il potere di creare dentro di noi un’assonanza (da avere suono simile) con la presenza del Signore iscritta nella nostra parte più profonda, nel nostro spirito. Nel racconto di Madre Teresa si coglie che l’intimo di quell’uomo è entrato in assonanza con il gesto pieno di amore di quella suora. Da dentro e da fuori di lui tutto ha gridato nello stesso modo che Dio ama e ama così e si può affidare la propria vita a quell’amore! Questa è l’assonanza di Natale, nascita di Cristo in noi! D’altra parte ci sono gesti che sentiamo drammaticamente dissonanti con il nostro intimo e non creano pace ma, in fondo al cuore, solo profonda lacerazione… Il Signore li chiama peccati e noi capiamo che non sono solo un’offesa al Suo amore, ma anche un tradimento della bellezza che è dentro di noi. Fare Natale è incontrare Gesù e tutti ne abbiamo bisogno: • sarà possibile solo se ascolteremo con attenzione la Parola che ci narra di Lui e Lo sapremo vedere nei gesti e nelle storie che ci rendono presente il Suo ricordo vero e non deforme; • sarà possibile solo se là dove c’è dubbio, pigrizia, o un poco di cattiveria, ci si impegnerà a fare chiarezza, a svelare il male e a cercare il bene con passione, senza rimandi e indolenze. E’ apparsa la Grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo (s. Paolo): questo è Cristo, vero dono del Natale. A tutti regali la Sua Salvezza!

Buon Natale!

 

d. Paolo

Ognuno faccia il suo mestiere

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L’odierna mancanza di lavoro non permette di realizzare sempre questo detto.E’ un guaio. Speriamo di saperci aiutare affinchè a nessuno manchi il necessario. Ma c’è un mestiere a cui tutti siamo chiamati: il mestiere di uomo. Qual è il mestiere dell’uomo? Di una persona diciamo “fa l’impiegato” o “fa la dottoressa”. Quando possiamo dire di uno: “fa l’uomo”? Dice il salmo  a Dio: Tu, o Dio, hai fatto l’uomo poco meno degli angeli, di gloria e onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi (sal. 8). Il mestiere dell’uomo è dunque importante, mestiere di responsabilità e di onore. Ma chi ne è capace? Ne è capace l’uomo che non “pensa solo a mangiare e godersi la vita”. Se il mestiere di uomo fosse risolto rispondendo ai bisogni primari della vita (mangiare, dormire, generare…) sarebbe molto simile a quello degli animali. Credo che il primo passaggio che caratterizza l’uomo che vuole “fare il mestiere di uomo” sia accettare di essere un po’ inquieto per lasciare affiorare quel pensiero alle volte impegnato e serio, altre volte melanconico o disperato che fa dire: “che ci faccio qui? In questo mondo? Che senso ha il mio vivere questa storia per non so quanti anni? E il mio inevitabile morire?” L’inquietudine di queste domande può divenire l’inizio di un cammino di ricerca dell’uomo, fatta di attenzione che distingue tra risposte che funzionano e risposte che non funzionano. La ricerca mi porta ad attendere con pazienza, facendo tesoro di ogni piccolo frammento, aguzzando occhi e orecchi per non sentire e vedere sempre e solo le solite cose. Dice un salmo “alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l’aiuto?”. E, lo ammetto, vista la posta in gioco, mi viene da invocare, da chiedere quasi gridando se qualcuno (o Qualcuno) può darmi una risposta, una parola. Ecco, io credo che l’uomo possa e debba arrivare fin qui: quando un uomo si fa domande serie e vere sulla sua vita, cerca con attenzione, vive la pazienza dell’attesa e invoca, ha fatto il suo mestiere di uomo! E’ un bell’uomo, una bella donna, con cui è bello stare. Simone Weil, filosofa del secolo scorso, dice in un suo libro (L’attesa di Dio) che l’uomo è come un bambino che non sa con certezza se in casa c’è pane o acqua, ma sa con certezza che ha fame e sete, spetta a suo padre dargli da bere e da mangiare, non può prendere da solo, può solo attendere che la sua domanda sia esaudita. L’uomo ha fatto il suo mestiere di uomo quando, raggiunta la certezza di avere bisogno di senso e di risposte alle sue domande, innalza al cielo un invocazione carica di attesa. Spetta a chi abita nell’alto dei cieli (come cantano gli angeli del Natale) venirci a cercare. Questo è il mestiere di Dio: venirci a cercare. E questo è anche il significato del Natale di Gesù per noi cristiani: è il Padre che ha sentito la nostra domanda da bimbi, la nostra fame e sete di risposte, e ha inviato la sua Parola, il Verbo che si fa carne. Gesù è la risposta di Dio alle domande dell’umanità; la Vita di colui che nasce a Betlemme, tutto ciò che Lui ha detto e fatto, dice all’uomo inquieto: ogni uomo è figlio di Dio, amato di amore infinito dal Padre, messo in questo mondo per portare qualcosa di bello e di buono agli altri, per custodire la terra, cercando di superare ogni inimicizia e divisione, perché tutti nella propria povertà e debolezza possano sentirsi amati e avere il coraggio di amare non pensando solo a se stessi. La chiesa è la famiglia di coloro che, nel Natale di Gesù, incontrano Dio che è venuto a cercare e salvare chi altrimenti rischiava di perdersi e ritrovano la forza di andare verso ogni uomo e verso questo mondo per amarlo senza confini. Allora AUGURI: lasciamoci incontrare dal Dio venuto così vicino, e l’inquietudine diventi pace per ogni uomo che fa il mestiere di uomo. BUON NATALE ! don Paolo Signore Gesù, amico e fratello, accompagna i giorni dell’uomo perché ogni epoca del mondo, ogni stagione della vita intraveda qualche segno del Tuo Regno che invochiamo in umile preghiera, e giustizia e pace s’abbraccino a consolare coloro che sospirano il Tuo giorno. Tu sai che l’attesa logora, che la tristezza abbatte, che la solitudine fa paura, Tu sai che abbiamo bisogno di te per tenere accesa la nostra piccola luce e propagare il fuoco che Tu sei venuto a portare sulla terra. Riempi di grazie il tempo che ci doni di vivere per Te! Signore Gesù, giudice ultimo del cielo e della terra, vieni! La nostra vita sia come una casa preparata per l’ospite atteso, le nostre opere siano come i doni da condividere perché la festa sia lieta, le nostre lacrime siano come l’invito a fare presto. Noi esultiamo nel giorno della Tua nascita, noi sospiriamo il Tuo ritorno : vieni, Signore Gesù! Card.

 

Carlo Maria Martini

Chi fa la chiesa

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Il cantiere della ristrutturazione delle opere parrocchiali mi ha portato pensieri belli e anche qualche grana. Il pensiero più bello di tutti parte dalla constatazione della fatica necessaria per fare un edificio: progetti, calcoli, leggi, soldi; poi lavoro manuale, strumenti e mezzi, materiale; infine diligenza, esperienza, rischio… E tutto per fare un edificio speriamo utile, ma che invecchierà in fretta!
Il pensiero più bello di tutti parte dalla constatazione della fatica necessaria per fare un edificio: progetti, calcoli, leggi, soldi; poi lavoro manuale, strumenti e mezzi, materiale; infine diligenza, esperienza, rischio… E tutto per fare un edificio speriamo utile, ma che invecchierà in fretta! Ma chi è che fa la chiesa? C’è un commento di S. Agostino ripreso poi nel concilio Vaticano II che dice: “Dal costato di Cristo dormiente sulla Croce è scaturito il meraviglioso sacramento che è la Chiesa”.
Mi fa impressione il confronto tra l’affanno di noi, costruttori di cose che passano, e la pace di Cristo “dormiente” che, morto sulla croce, costruisce la Sua Chiesa.
Dal mistero pasquale, cioè dalla passione, morte, resurrezione e ascensione al cielo del Signore Gesù, nasce il “popolo di Dio” in cammino per realizzare un mondo nuovo o almeno un modo nuovo di stare al mondo.
E’ Lui che “fa”, agisce nel cuore della gente, suscita desideri di generosità e attenzione ai piccoli. E’ Lui che fa sì che la Chiesa rimanga bella e compia la sua opera di madre liberando i suoi figli dal non senso e dalla morte. Per questo i contemporanei dei primi cristiani definivano la Chiesa: “la comunità di quelli che sono senza paura”. E questa comunità la edifica Cristo stesso altrimenti non potrebbe reggere: “Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesש Cristo.” (1 lettera di Pietro apostolo) L’augurio che questi mesi siano vissuti lasciando che il Signore costruisca in noi la Sua Chiesa. Non vi sembri poca cosa “lasciarLo fare”!

  • Per lasciar fare al Signore bisogna esercitarci nella fiducia in lui, ricorrere a Lui prima e più che ad ogni altra cosa o persona.
  • Bisogna rendersi presenti là dove lui è presente, cioè nella Messa e nella Sua Parola: “Cristo è sempre presente nella Sua Chiesa, specialmente nelle azioni liturgiche. E’ presente nella Messa… è presente in tutti i Sacramenti… è presente nella Sua Parola giacchè è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. E’ presente quando la Chiesa prega e salmeggia, Lui che ha promesso Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro.”
  • Nella vita del Curato d’Ars, un santo prete francese di inizio 1800, che il papa ha riproposto quest’anno all’attenzione di tutta la chiesa, si racconta che il santo prete aveva osservato un contadino che ogni sera, tornando dal lavoro, lasciava gli attrezzi fuori della chiesa, entrava e restava seduto in silenzio per lungo tempo. Un giorno gli si avvicinò: «Cosa fate qui, buon uomo, in silenzio?». Il contadino, stupito per la domanda, gli rispose: «Sto  davanti al mio Signore: lui guarda  me ed io guardo lui».

 

Per lasciar fare al Signore bisogna infine lottare contro i vizi e gli egoismi che ci seducono e ci portano fuori dalla Sua bellezza.
Ma in questo Egli, così presente con noi, ci aiuterà. Stiamone certi!

don Paolo

La Sua vittoria

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Un pensatore cristiano dei primi secoli racconta che una notte fece un sogno. Mirìadi di passerotti svolazzavano sotto una rete tesa a una certa distanza dal suolo. Tentavano continuamente di prendere il volo, ma urtavano nella rete e ricadevano a terra. Era uno spettacolo triste, angoscioso. Ma ad un certo punto uno di questi passerotti si ostinò a lottare contro la rete finche, ferito e sanguinante riuscì a spezzarla e prese il volo verso l’azzurro. Un alto grido si levò dal popolo dei passerotti, e con un fruscio di innumerevoli ali, tutti si precipitarono attraverso la fenditura verso lo spazio senza limiti.
Gesù, ricoperto di sangue, ha spezzato la rete del destino.
L’impossibile è ormai al centro della fede cristiana e dell’umanità. Non come una facile certezza che intorpidirebbe gli uomini. Non è nello stile di Gesù evitare al uomo di essere uomo. Il suo grido vuole aprire a tutti lo spazio… (G. Bessière)
Solo le Sacre Scritture possono raccontare veramente la Pasqua di Gesù e guidarci verso quel mistero. Ogni altro racconto rischia di banalizzare la vittoria di Gesù sulla morte e sul male. Ad ogni modo, anche un racconto come quello riportato può diventare uno spunto, uno stimolo a pensare.
La Pasqua inizia dalla consapevolezza di essere sotto la rete. E’ la rete della rapidità tremenda con cui passano i nostri giorni ed è la rete che si oppone al desiderio di infinito che abita l’uomo, anzi che l’uomo stesso è.
La Pasqua annuncia la vittoria di uno, Gesù Cristo, contro tutto ciò che mortifica l’uomo che non viene mai dal Padre.
La Pasqua è l’apertura di un modo nuovo di vivere e di una speranza infinita.
Scendendo nella morte, Dio in Gesù ha voluto lottare per noi contro ciò che ci annienta, e lo ha vinto. Ma, direte, perché la morte e tutte le sue sfaccettature (paure, limiti, debolezze e soprattutto il male e il peccato) ci sono ancora? L’immagine dice una cosa che credo importantissima: la rete (cioè l’opera mortificante del male)  non è stata tolta di mezzo, ma in essa si è creata un’apertura per uno spazio nuovo. Ciò significa che sempre, da Gesù in poi, ogni incontro con il male, il limite, il peccato e perfino la morte può diventare “passaggio” cioè “pasqua” (parola ebraica che significa appunto passaggio) per una nuova vita.
Di san Paolo nella lettura della notte di Pasqua:

“Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché  come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.”

La caratteristica dei battezzati che prendono sul serio la loro fede, è la speranza continua, la lotta contro ogni rassegnazione, l’impegno per il bene di tutti e la certezza dell’abbraccio di Dio Padre ora e per sempre.
“Gesù, vero agnello che ha tolto i peccati del mondo, morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita.”
La vittoria di Gesù e la Sua presenza viva nella nostra vita operi tutto questo!

Auguri di una Santa Pasqua.

don Paolo

La “Buona Nascita” e il Silenzio

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“Buon Natale” vuol dire “buona nascita”. Tra i tanti significati che può assumere questa espressione c’è sicuramente anche quello di essere un annuncio: può significare “c’è stata una buona nascita”, “Colui che nato è Buono”! E’ nato il Dio fatto bambino, Gesù di Nazareth: Gloria (cioè rivelazione) di Dio e Pace per gli uomini; davvero una “buona nascita”.
La statuina del dormiglione che mettiamo nel presepe è il simbolo di tutti gli uomini che non sentono questa bontà nella nascita di Cristo, o dubitano che possa fare veramente qualcosa per noi. Cosa potrà mai fare di buono questo neonato? Nelle liturgie del Natale, la Chiesa risponde è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri  mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone. (Lettera di san Paolo a Tito 2, 11-14).
Gesù porta salvezza insegnandoci a rinnegare l’empietà e i desideri mondani: cioè svelando l’inconsistenza e falsità delle logiche dell’avere-potere-piacere, che sono i desideri mondani. Ma sopratutto Gesù insegna un’altra vita fatta di sobrietà, giustizia e pietà e di attesa della beata speranza. Non ci viene istintivo. La sobrietà\condivisione, la giustizia che è ricerca del bene comune e non solo del mio, la pietà intesa come senso di Dio e della Sua presenza nella nostra storia, l’attesa consolante e impegnativa del paradiso (la beata speranza) sono rese possibili dal “Buon Natale”.
Colui che è indubbiamente Buono insegna questa via di bene e la rende a noi possibile. Lo accoglieremo prestandogli un pò di fiducia? Come possiamo fare perchè compia la sua opera di salvezza? Il primo passo, per gustare la bontà del Natale di Cristo, è il silenzio. Un silenzio interiore e pensoso di chi approfitta di questi giorni per fare il punto della propria situazione al cospetto del Bambino-Salvatore. Si fa veramente Natale confrontando le nostre vie con la sua via. Diceva il papa qualche anno fa: Il Natale ci invita a entrare nel silenzio di Dio, e il suo mistero rimane nascosto a così tanti perché essi non riescono a trovare il silenzio in cui Dio agisce. Fare silenzio significa trovare un nuovo ordine interiore. Significa non preoccuparsi solo delle cose che possiamo mostrare e ostentare. Significa non guardare solo a ciò che conta tra gli uomini e ha fra di loro un valore commerciale. Significa sviluppare i sensi interiori, il senso della coscienza, il senso dell’eterno in noi, della capacità di ascoltare Dio.
Si dice che i dinosauri si siano estinti perché si erano sviluppati in maniera sbagliata: molta corazza e poco cervello, molti muscoli e poco intelletto. Non stiamo anche noi sviluppandoci in maniera sbagliata: molta tecnica e poca anima? Una spessa corazza di possibilità materiali, ma un cuore diventato vuoto? Uno spegnersi della capacità di percepire la voce di Dio in noi, di conoscere e riconoscere  il bene, il bello e il vero?  “Facciamo silenzio, parliamo del Salvatore, perché si avvicina la Mezzanotte”. Non è più che mai tempo di correggere la rotta della nostra “evoluzione”?
(Benedetto XVI)
Molta corazza e poco cervello, molte cose e cuore vuoto! I giorni del Natale di Gesù ci sono dati per riempire ancora il cuore di coraggio e desideri di bene. Siano giorni di ritrovata fiducia e serenità, di vittoria sulla paura e sulla rassegnazione, di affetti caldi e sinceri perchè quel Bambino è il Signore e torna in questo Natale a correggere la rotta della nostra “evoluzione”.

don Paolo

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