Dio si è fatto uomo

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“Noi diciamo che Tu devi di nuovo venire, ed è vero, ma non è propriamente un “nuovo” venire; poiché, nell’umanità che hai assunto in eterno per tua, non ci hai mai lasciato”. (Karl Rahner)  
Il Natale è Dio che si fa Dono  

Il Natale di Gesù di Nazareth, in senso stretto, non è un fatto “religioso”. Per religione, infatti, si intende il culto, i riti, le azioni che l’uomo “fa” per stare alla presenza di Dio. Ma l’uomo non fa nulla, fa tutto Lui! Questa è la vera novità: non qualcosa
che l’uomo merita o riesce ad ottenere con il suo sforzo, o grazie alla sua bontà, ma puro dono, pura iniziativa di Dio per venire ad abitare la vita di ogni uomo, là dove si trova.

O mio Dio non ti devo cercare lontano! Sei venuto in me, sei in ogni uomo: che io ti accolga, che io ti faccia posto e gusterò il tuo inestimabile dono di pace!  

L’incarnazione distingue l’esperienza cristiana da ogni altra esperienza religiosa perché il nostro Dio è venuto al di qua del cielo, in quel mondo che Egli ha creato, in quell’uomo che   Il Natale rende ogni uomo luogo “sacro”  Questo fatto rende ogni uomo luogo della presenza di Dio: io stesso e l’altro accanto a me, il mio amico e, addirittura, il mio nemico. Ogni uomo è luogo sacro, abitato dalla Sua presenza, incontro con Lui. Questo è il vero senso del Natale.

Dice papa Francesco:

“L’ideale cristiano inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone. Molti verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri…. Oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro. Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. ….tutti sandali davanti alla terra sacra dell’altro”. (cfr Es 3,5)

 La conseguenza pratica di questa certezza di fede è che questo Natale deve portarci ad aver voglia di ascoltare l’altro, di incontrarlo per davvero, di aiutarlo e, prima che è venuto e verrà, ora viene lì, nell’altro che vive con me o che incontro. E se lì c’è il Signore, lì c’è anche gioia vera e vita piena. Pregare il Signore nella Messa condivisa con i fratelli cuore, ricevere i sacramenti, l’Eucarestia e il Perdono… tutto è dato perché possiamo risanare le relazioni con gli altri!

Il Natale apre al dialogo con le esperienze religiose

Questo aspetto della nostra esperienza religiosa ci fa dire che non è vero che tutte le religioni sono uguali! Cristo svela veramente Dio, lo rende presente come puro dono di volta è reso prezioso e inviolabile dal Cristo stesso. Ma, ugualmente, è anche il fondamento della nostra “apertura” all’esperienza religiosa di altri.

Ancora il papa:

“La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti a comprendere quelle dell’altro e ognuno”.

 Certo che il Padre di Gesù Cristo è il Dio vero, ma nessun cristiano può avere la pretesa di esserne proprietario e il dialogo franco e leale con ogni uomo ci fa presentire una rispetto alla comprensione che sempre ne abbiamo… Un po’ come i Magi, le esperienze religiose presenti attorno a noi, ci portano in dono una comprensione più ricca del Padre nostro che ci salva in Cristo.

“A causa della violenza e del terrorismo si è diffuso un atteggiamento di sospetto o addirittura di condanna delle religioni. In realtà, benché nessuna religione sia immune dal fondamentalistiche o estremistiche in individui o gruppi, bisogna guardare ai valori positivi che esse vivono e che esse propongono, e che andare oltre”.

 Oltre ogni pregiudizio e oltre ogni fastidio e fatica dell’altro, abita il vero Buon Natale!

La sorpresa di Pasqua

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Da bimbi le “sorprese” ci appassionavano, perfino quelle, sempre un po’ deludenti, che si trovavano dentro le uova di pasqua! Chi è più giovane ama le sorprese, le cerca, le desidera… Più passano gli anni più diamo alla parola “sorpresa” un significato negativo: eventuali “sorprese” saranno solo grane… riteniamo quasi impossibili le sorprese positive. Tra adulti si dice spesso: “speriamo che oggi non ci siano sorprese!”.
Il tema della “sorpresa” è centrale nella pasqua cristiana perché quella Pasqua di duemila anni fa ha portato la sorpresa più grande: la morte è vinta, dalla morte si esce si va al Padre! Quella sublime sorpresa ha ancora qualcosa da dire oggi? Storie di violenza e di guerra ci hanno riempito gli occhi e il cuore nell’inverno appena trascorso. La poca chiarezza sui valori fondamentali (penso soprattutto alla famiglia), una litigiosità in continuo aumento, la “globalizzazione dell’indifferenza” (come dice il papa) rendono tutti più chiusi, preoccupati, arrabbiati… non c’è dubbio: abbiamo preso una strada sbagliata! Se apro il vangelo, scopro una particolare sintonia tra il nostro tempo e gli amici di Gesù dopo la morte del loro Maestro sulla croce del Calvario: la loro situazione è di profonda delusione; cosa si poteva sperare ancora dopo quella croce? Proprio in quella storia di tenebra è sorta la luce nuova, la sorpresa più grande che la storia umana abbia mai incontrato: il sepolcro è vuoto, Gesù si fa incontrare vivo, risorto. Tutto può ripartire… Dio Padre, risuscitando il crocifisso ha mostrato la Sua logica, il Suo punto di vista:

“Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi
entra dentro… Dio ama ciò che è perduto, ciò che non
è considerato, ciò che è emarginato, debole e affranto;
dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”;
dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”.
Dove gli uomini distolgono con indifferenza o
altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo
sguardo pieno di amore ardente e incomparabile.
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione
in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e
davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe
adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani
da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino
come mai lo era stato prima.
Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, affinché
comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua
vicinanza e della sua grazia”.

(D. Bonhoeffer)
Da qui riparte la storia dei cristiani che hanno reagito con speranza al male, sostenuti dalla vittoria del loro Signore. E’ una storia che ha steso semi di amore vero, di dono, di impegno sincero, alle volte un po’ folle, per la dignità e il bene di questo mondo. Non sono mancati tradimenti ed egoismi, ma quella Resurrezione ha portato vita nuova in tutti quelli che l’hanno accolta con cuore sincero e vi si sono affidati. Può succedere ancora. Dice il papa:

“Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla novità che Dio
vuole portare nella nostra vita! Non chiudiamoci in noi
stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai:
non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare,
non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo
a Lui… Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua
vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita!
Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa’ un piccolo
passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente,
accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra
difficile seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai
sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che
cerchi e la forza per vivere come Lui vuole”.

Nelle nostre comunità cristiane vogliamo vivere la sorpresa della Pasqua.
Lo faremo cantando insieme l’alleluia per la vittoria sulla morte che Gesù ha operato e alla quale ci affidiamo per riconoscere che ogni vita è in cammino verso il paradiso di Dio.Lo faremo riconoscendo i peccati che ci abitano e chiedendo il perdono perché, una volta perdonati, possiamo portare a tutti la gioia di ricominciare.
Lo faremo rifiutando l’indifferenza verso la sofferenza degli altri e continuando a condividere il tempo, gli affetti ed anche i beni con chi di noi fa più fatica.
Lo faremo accogliendo dal vangelo la notizia che la fatica per costruire il bene non è insensata, ma è il segno concreto che siamo uniti alla vittoria di Cristo.

Buona Pasqua!

don Paolo

Preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore (Papa Francesco)

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Simpatico questo papa, vero? Fa presa, piace, tutti lo citano… Chissà se tutti quelli che lo ammirano ne tessono le lodi stanno veramente ascoltando l’insegnamento di questo papa. Lo chiedo a noi cristiani, anche a me prete…In che direzione va la Chiesa di papa Francesco? Sicuramente va “fuori”, come dice sempre lui:

“Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”. (E. G. N.20)

In questo anno pastorale, nelle comunità parrocchiali di Padulle e Bonconvento, vorremmo prestare particolare attenzione al suo insegnamento riguardante l’impegno sociale, o come dice lui, più chiaramente, l’impegno per la costruzione di un mondo migliore. Il papa ne parla continuamente. Per lui, impegno sociale e Vangelo non si possono mai separare:

“Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini… Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto… La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene il giusto ordine della società e dello Stato sia compito principale della politica, la Chiesa non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia. Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore (n. 183)

La premessa essenziale del papa è la rinuncia ad una fede comoda ed individualista. Per Gesù comodità ed individualismo (cioè, in fin dei conti, il primato assoluto del nostro “mi fa star bene”!) non portano alla gioia del Vangelo. E’ un’illusione! Comodità ed individualismo generano piuttosto la paura di essere “scartati”: se perdo la mia comodità, se qualcosa non va nel verso giusto, in una società individualista sono condannato ad essere escluso: “Purtroppo nella nostra epoca, così ricca di tante conquiste e speranze, non mancano poteri e forze che finiscono per produrre una “cultura dello scarto”; e questa tende a divenire mentalità comune.” Qual’è l’alternativa? E’ una società dove c’è posto per tutti, senza scarto:

“Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo.” (n. 187)

Si inizia da un ascolto docile (cioè vero, che non parte da ideologie preconcette) ed attento. Questo fa evitare i giudizi trancianti e pone in ricerca di possibili vie, forse mai risolutive, ma capaci di invertire il cammino.Ma per il papa, ascoltare significa anche “fare”. Egli propone un recupero del significato profondo della solidarietà:

“Siamo invitati a compiere i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni”.(n. 188)

In questo cammino il papa non ha paura di chiedere un ripensamento del significato della proprietà privata:

“Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde”. (n. 189)

Lo spazio di questo articolo non permette ulteriori approfondimenti. Mi auguro due cose: che la nostra comunità, in questo anno, si dedichi seriamente, nella preghiera e nell’azione, alla costruzione di un mondo migliore. che la grandezza della sfida non scoraggi nessuno: meglio un solo piccolo passo nella via giusta, che una corsa, ma sulla via sbagliata.

Buon cammino!

don Paolo

Terremoto di Pasqua

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Tertulliano è un antico padre della chiesa (II secolo) che aveva, come noi, una domanda: “Cosa significa essere cristiani?” e rispondeva: “La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani:credendo in essa siamo tali”. Ciò che qualifica la fede dei cristiani è la risurrezione dei morti con il loro corpo e non solo l’immortalità dell’anima! Credere nella risurrezione non significa gettarsi nell’immaginazione di un mondo di zombi più o meno carini, ma piuttosto prendere sul serio alcune certezze:

La certezza della vita oltre la morte:

«Come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! […]. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15). La risurrezione di Gesù, centro della nostra Pasqua, è certezza assoluta che la meta della nostra vita non è la tomba, ma l’incontro con il Padre. L’orizzonte in cui leggere le nostre vicende non sono i pochi anni sulla terra, ma l’eternità. E ogni volta che una famiglia mette al mondo un figlio sappia che fa un gesto eterno!

La certezza del valore del nostro corpo:

la «risurrezione del corpo» significa che anche i nostri «corpi mortali» (Rm 8,11) riprenderanno vita. La scrittura è sobria nel descrivere il “come” di questa risurrezione, ma abbondante nel trarre conseguenze. Il corpo è ciò che ci identifica e ci permette di agire: se risorge il mio corpo significa che risorgo proprio io, con tutte le mie azioni e relazioni. Quindi ogni azione bella e buona del nostro corpo, anche la più nascosta, risorge con noi e prende valore eterno. La risurrezione è motivo ultimo di ogni gesto di amore che va al di là della giustizia, del merito e del buon senso. Si può perdonare e aiutare chi non se lo merita in nome della vita eterna del nostro corpo! Per fare il bene e testimoniare il Cristo, ci si può anche rimettere, fino a perdere le proprie cose (e perfino la vita), in nome della risurrezione! La risurrezione mette in guardia dalla profanazione del corpo che non può essere trattato come un semplice oggetto o (peggio) un giocattolo.

La certezza che la speranza non è un’illusione:

Dio opera veramente e con potenza indicibile: è giusto sperare e lottare con speranza. Al contrario, la rassegnazione è come il macigno posto all’imboccatura del sepolcro di Cristo; è la resa al “non c’è più nulla da fare” che avvilisce la dignità dell’uomo. La pietra rotolata via dal sepolcro di Cristo è l’inizio (se ci crediamo!) di un terremoto liberante: con l’aiuto del Risorto, noi possiamo togliere qualche masso che ci seppellisce e aiutare altri a fare altrettanto. Al posto di ogni tipo di rassegnazione vi auguro, con questo testo di don Tonino Bello un sano e liberante terremoto pasquale che ci dia il gusto di lottare sempre, per noi e per gli altri, per la luce e la vita… senza resa. Quel mattino Gesù indicò alle donne che anche i macigni vengono rimossi dai sepolcri. Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto. La mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro. Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del peccato. Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo, il terremoto di cui parla il vangelo, la festa dei macigni rotolati.

 

Buona Pasqua

 

don Paolo

Mamma mia che cosa grossa siamo noi

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Lo scrive Francesco Milli, un missionario francescano, fiorentino ex paracadutista, morto a 44 anni in Tanzania nel Natale del 1978, portato via da una forma violenta di malaria “perniciosa”. Lo scrive da uomo di fede che vive in una zona del mondo segnata “dall’inequità che genera violenza”, come dice papa Francesco, e da tanta povertà. In questo Natale di Gesù Cristo, mi fa pensare… Il Figlio di Dio viene nel mondo perché noi siamo “una cosa grossa”, un affare serio, preziosissimi per Lui:

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Dio si fa Bambino, compagno di strada dell’uomo, fino ad entrare nella sua morte per dargli occasione di salvezza. Venendo nel mondo è come se dicesse ad ogni uomo “tu sei prezioso! Per questo sono venuto, perché nessuno vada perduto, questa è la volontà del Padre”. Può sembrare strano, ma credere veramente nel Dio di Gesù Cristo significa credere con la stessa determinazione e chiarezza anche nel valore assoluto di ogni uomo. Sei credente quando riconosci la preziosità della vita che ti è data e la vivi in pienezza. Come? Papa Francesco dice:

“La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri…

Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri”,nelle tantissime forme in cui è possibile fare questo. Il papa continua affermando senza timore di smentita che l’attuale confusione personale e sociale ha una causa ben precisa:

“… la tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene.”

Se l’uomo credesse nella preziosità della propria e, insieme, dell’altrui vita, non lascerebbe spazio al cuore comodo e avaro! Impegnerebbe se stesso in una lotta per il bene: sperimenterebbe la gioia della fierezza, sentimento derivante dalla capacità di sopportare anche le difficoltà, il dolore e la fatica, per qualcosa di giusto, buono e grande. Per papa Francesco la tristezza individualista, che è il contrario della gioia della fierezza, nasce dal voler essere signori assoluti di se stessi, dal “fare quello che mi pare”. Che peccato quando noi, donne e uomini, più o meno adulti mettiamo il nostro tornaconto prima della ricerca del bene! E’ un’altra iniezione di tristezza a questo mondo. Che bello invece contemplare e trovare forza nella nascita di Gesù Cristo, venuto perché nulla vada perduto della bellezza originaria dell’uomo. Il Signore Gesù vuole il bene dell’uomo, la sua gioia: mi posso fidare della sua Parola, perfino dei suoi comandi. Per questo posso concludere citando ancora il papa e il suo accorato invito in questo Natale:

“Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore… Chi rischia, il Signore non lo delude.”

Buon Natale

don Paolo

Quell’avarizia insaziabile che è idolatria

L’avarizia non è solo una questione di attaccamento ai soldi. È un modo di pensare e di agire che si insinua in tutti gli ambiti della vita.

Indossando di volta in volta i panni dell’avidità, della cupidigia, dell’usura, della concupiscenza, della taccagneria o della grettezza, la struttura camaleontica dell’avarizia è tale che essa può addirittura assumere le sembianze della virtù. E’ il vizio che è cresciuto di più negli ultimi anni, ma ancora si fatica a chiamarlo “vizio”. Eppure l’avaro di oggi è posseduto dalle cose, le accumula, ma non le condivide. La sua infelicità è il fallimento del nostro stile di vita.” (Prof.  Stefano Zamagni)

Il cuore e la testa si riempiono di un pensiero, quasi ossessivo: “Sarò sazio solo quando avrò anche questo … o avrò fatto anche quello … o avrò sperimentato anche quest’altro”. Ma la sazietà non arriva mai! E neanche la pace dentro e intorno a noi! L’avidità è come un pozzo senza fondo, che esaurisce la persona nello sforzo incessante di soddisfare il bisogno senza mai raggiungere la soddisfazione. E la ricerca della ricchezza o, più in generale delle “cose” prende completamente tutto il nostro cuore, la nostra mente, le nostre forze; per questo il papa diceva qualche giorno fa:

“Io leggo i dieci comandamenti e nessuno parla male del denaro… contro quale comandamento pecco se cerco il denaro? Contro il primo comandamento perché il denaro diventa idolatria”.

Gesù denuncia più volte questo meccanismo e propone una via di guarigione. Al Signore sta a cuore il bene dell’uomo e sa che la via dell’attaccamento alle cose porta ad una brutta solitudine, una specie di isolamento ossessionato, in cui non c’è pace vera. E la medicina? Gesù propone il comandamento dell’amore: “Amatevi come io vi ho amato”. I cristiani, già negli Atti degli apostoli, hanno tradotto questo comando in una parola bellissima: comunione. La usiamo sia per dire l’amore di Gesù che incontriamo nella preghiera e specialmente nel “fare la comunione” a Messa, sia per dire lo stile degli uomini amati e salvati da Cristo: creare comunione tra noi, con gli altri. Sarà questo il tema del Congresso eucaristico di questo anno che porta il titolo: Eucarestia sorgente di comunione con Cristo e tra di noi. Noi siamo talmente abituati a queste parole che forse non incidono più nella nostra vita. Papa Francesco con il suo linguaggio semplice e concreto, ma soprattutto con la testimonianza di una vita che vive ciò che dice, ci fa sentire nuove le parole del Vangelo. Dice il papa:

“La Chiesa siamo tutti noi e se vogliamo essere cristiani dobbiamo fare come Gesù che si spogliò, diventò uomo e abbracciò la croce. Non dobbiamo essere cristiani da pasticceria… essere cristiani è un rapporto vitale con la persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è diventare simili a Lui». «Francesco d’Assisi testimonia che, chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e che ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della croce. La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia universale con le energie del cosmo… La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi prende su di sé il Suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato».

La via è questa. Dobbiamo cambiare la nostra testa e il nostro cuore: possiamo cominciare a credere che la vera pace sta nel vivere relazioni vere, a partire da quelli che mi sono più vicini. E le relazioni vere richiedono anche la fatica, il sacrificio, la capacità di rinuncia e di dono. Se cambiano testa e cuore poi si trovano anche le strutture per una nuova economia.

“Fa’, o Signore, che la forza dell’Eucaristia continui ad ardere nella nostra vita e diventi per noi santità, onestà, generosità,attenzione premurosa ai più deboli.  Rendici amabili con tutti, capaci di amicizia vera e sincera perché molti siano attratti a camminare verso Te”

 

Don Paolo

Collocazione provvisoria

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Don Tonino Bello, vescovo di Moffetta, morto il 20 aprile 1993 a soli 58 anni, scrive:

“Nel Duomo vecchio di Moffetta c’è un grande crocifisso di terracotta L’ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemano definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta. “collocazione provvisoria”.

La scritta che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso da lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce, non solo quella di Cristo. Il vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. “Da mezzanotte fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio fratello che soffri C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovrumana Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà., finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra un assurdo. Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e Il sole della pasqua irromperà tra le nuvole in fuga” La Pasqua di Gesù, la Sua morte e resurrezione, ci ricorda che il dolore e la sofferenza sono una “collocazione provvisoria” della nostra vita! In questa epoca In cui tante cose che vorremmo “definitive” si rivelano invece “provvisorie” – il lavoro, alle volte anche la casa, spesso anche le relazioni più Importanti, perfino anche la nostra chiesa! – è una bella notizia l’annuncio che, sicuramente e per tutti, è “provvisorio” anche il nostro incontro con Il dolore e la morte. Nella Parola del Signore troviamo sempre la certezza assoluta della vittoria d Dio Padre sul potere del male che ha nel dolore e nella morte i suoi segni. La Pasqua ci Invita a celebrare la Sua vittoria, la Sua resurrezione perché diventino anche nostra vittoria e nostra continua forza di resurrezione. La nostra comunità Invita dunque tutti a vivere con semplice intensità i riti e le preghiere che insieme celebreremo in questi giorni santi, perché sono i momenti forti In cui il Padre vuole rendere partecipi i Suoi figli della Sua stessa vita, quella non “provvisoria”, bensì quella definitiva ed eterna che è il nostro destino In cui fin da ora possiamo collocarci!

Buona Pasqua

 

Don Paolo

Educare: dare la risposta “Sbagliata”

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Non pretendo certo che questa sia l’unica definizione di “educazione”. Si potrebbero individuare molteplici approcci a questo tema.Voglio solo condividere una riflessione emersa tra di noi, nei lavori iniziali di questo nuovo anno pastorale. Siamo partiti da un brano del libro biblico “Atti degli Apostoli” al capitolo terzo:

Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.

Questo è un racconto di guarigione avvenuto nella prima chiesa cristiana. E’ un racconto storico, ma possiamo leggerlo anche nella sua carica simbolica, che lascia intravedere la storia di una “educazione” riuscita. Infatti il protagonista è un uomo, che si trova inizialmente in una situazione di blocco, di mancanza di autonomia, seduto e dipendente dall’elemosina degli altri e alla fine è rinvigorito, capace di camminare e di saltare, cioè di stare in piedi da solo, di agire: da “portato” a “saltante”. Cosa è avvenuto? Cosa ha cambiato la situazione? Al centro del racconto c’è la scena della domanda dell’uomo e della risposta “sbagliata” di Pietro e Giovanni. L’uomo chiede ciò di cui sente il bisogno in quel momento: due soldini per far sera e soddisfare il suo bisogno primario del momento. Pietro e Giovanni (per fortuna) non hanno soldi ed allora rispondono al bisogno dell’uomo dando altro, quello che loro hanno già avuto, quello che dà a loro la forza di stare in piedi, cioè la forza di Cristo. Per questo dico che la risposta di Pietro e Giovanni è “sbagliata”. Gli era stato chiesto pane e soldi e loro hanno dato Cristo e il suo Vangelo. Ma solo così l’uomo è diventato un “camminante” ed un “saltante” che non fa più l’elemosina. Pensate se Pietro o Giovanni avessero avuto qualche euro in tasca e avessero dato la risposta giusta! Quell’uomo avrebbe passato la vita a chiedere l’elemosina. Allontaniamoci dal brano e veniamo alla nostra vita di tutti i giorni, solo per farci qualche domanda a due livelli di riflessione: sul piano squisitamente umano mi chiedo: non è che la fatica ad educare oggi, a far crescere, derivi dall’aver sempre dato ai più giovani tutto quello che loro ci chiedevano, le risposte “giuste” (Ipod, Itouch, Iphone, la notte fuori, la scuola facile, la giustificazione di tutto, il problema sempre già risolto…) rendendoli dei mendicanti che a fine giornata hanno di tutto, ma sempre mendicanti? E’ giusto che sia la loro domanda esplicita a gestire la nostra offerta? O questo non è piuttosto un modo comodo? “Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni”: alle volte ho l’impressione che il nostro sguardo non sia fissato sui reali e profondi bisogni di chi, più giovane, ci è affidato, ma piuttosto sulla preoccupazione che “abbia quello che hanno tutti” o qualcosa in più. Forse il primo grande lavoro degli adulti che educano è sapere cosa è veramente importante nel vivere e donare ciò che è veramente essenziale. Su un altro piano, collegato, ma più legato alla nostra vita di parrocchia, mi chiedo se, come comunità, sappiamo dare veramente ciò che abbiamo, cioè il nome e la forza di Cristo Gesù, o se alle volte non cadiamo nel tranello della “risposta giusta”. Alle volte ho un po’ paura che anche la parrocchia si lasci “fregare”: ci viene chiesto di spenderci nell’educazione, nel tenere qui ragazzi e giovani, nell’aiutarli a scuola, nel dare loro amici giusti… sapremo dare sempre la risposta “sbagliata”? Quella risposta è Gesù di Nazareth, la sua forza, il suo perdono, il suo amore, il suo stile di vita. Pochi ce lo chiedono, ma è Lui il segreto. E’ lui che fa camminare, saltare, lodare e dopo viene anche il resto!

don Paolo

Aspettare che le nostre anime ci raggiungano

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Un esploratore bianco, ansioso di arrivare presto alla sua meta nel cuore dell’ Africa, pagava un salario extra affinché i suoi portatori andassero più velocemente. Per vari giorni i portatori affrettarono il passo. Un pomeriggio, tuttavia, si sedettero tutti per terra e depositarono i loro carichi, rifiutandosi di continuare. Qualunque somma di denaro fosse loro offerta, non si muovevano. Quando infine l’esploratore chiese una spiegazione per quel comportamento, ottenne questa risposta: «Siamo andati molto velocemente e adesso non sappiamo più quello che stiamo facendo. Ora abbiamo bisogno di aspettare che le nostre anime ci raggiungano».
(P. Coelho)

Non so che significato intendesse dare l’autore a questo raccontino, che viene dalla tradizione sciamanica. Personalmente lo trovo interessante per fare gli auguri di buon Natale nel 2010. Celebrare bene la festa cristiana del Natale di Gesù (fare quindi un “Buon Natale”) presuppone che noi rientriamo in noi stessi e ci fermiamo un attimo, almeno per chiederci se veramente sappiamo quello che stiamo facendo. Allora facciamoci l’augurio di saper aspettare le nostre anime! “Aspettiamo le nostre anime” perché l’uomo si rovina se crede importante solo il “fare”.
“Aspettiamo le nostre anime” perché la vita interiore, la capacità di prendere in mano tutto se stessi, di ridirsi cosa si desidera veramente per se e per gli altri… tutto questo non è facoltativo, ma essenziale all’uomo.
“Aspettiamo le nostre anime” perché Gesù di Nazareth, di cui festeggiamo la nascita, ha insegnato che la scoperta del volto del Padre Suo richiede questo primo passo:
“Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”.
“Abbiamo bisogno di aspettare che le nostre anime ci raggiungano”: da qui potrà iniziare un Buon Natale! Diceva S. Anselmo d’Aosta già nell’anno mille:

“Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, dì ora con tutto te stesso, dì ora a Dio: Cerco il tuo volto. “II tuo volto, Signore, io cerco” (Salmo 26, 8)…. Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te appartiene?… Guarda, Signore, esaudiscici, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te… Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti”.

La festa di Natale ci ricorda che Dio ha visitato il Suo popolo, e la ricerca dell’uomo non sarà vana. E Gesù, il bimbo del presepe, è l’offerta di pace e di salvezza che Dio continua a portare agli uomini, da Lui amati:

«Non temete: dice l’angelo ai pastori, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Si incroceranno quest’anno la nostra ricerca e la Sua venuta? Per i pastori del presepe avvenne l’incontro e se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito… Il Signore, sempre visita il Suo popolo nella pace: ci regali in questo Natale la Sua pace e sapremo fare pace con gli altri; ci doni la Sua forza e sapremo superare le divisioni che questo anno ha portato; ci stia vicino e sapremo condividere coraggiosamente con chi ha bisogno. Don Paolo

Tra debolezza e grazia

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Il peccato é peccato

In nome di Dio, cioè davanti al Suo volto di luce, dovremo pur dire che certe cose sono peccato, maledizione, bruttura: lo sfruttamento dei più deboli, il disimpegno verso chi è in difficoltà, ogni tipo di violenza, la ricerca smodata del piacere e del proprio interesse, l’ira, l’impudicizia di una sessualità senza più dignità, l’ingiustizia nella distribuzione dei beni, la mancanza di attenzione al creato, l’incapacità a condividere e sopportare i bisogni degli altri, la mancanza di spirito di sacrificio per il bene, le ostinazioni… Nel mondo di chi è reso famoso dalla TV, come nella vita di chi è responsabile di un potere politico o economico, o nel quotidiano delle nostre famiglie, tutto questo è peccato serio davanti a Dio e triste bruttura nella vita degli uomini. E allora? La nostra condanna verso questi mali si è fatta debole e sembra quasi intrisa di ipocrisia: se abbiamo il coraggio della sincerità, gli stessi malanni li vediamo albergare anche nel nostro cuore o per lo meno lì accanto! C’è chi comincia a dire che poi infondo non c’è nulla di male… o peggio ancora, si perde forza nel comunicare ai più giovani certi valori perchè tanto anche noi non siamo un granché!

La via della Pasqua:il peccato “migliore”

Nella grande veglia pasquale che i cristiani celebrano nella notte tra il Sabato Santo e il giorno di Pasqua ritorna una esclamazione strana: Felice colpa! Tutti gli anni i cristiani hanno il coraggio di dire che la colpa può essere il luogo per incontrare l’amore di Dio. E 10 diciamo in genere per esperienza concreta. Citando San Bernardo, André Louf, monaco francese recentemente scomparso, dice: Esistono due modi di peccare. Uno cattivo e uno “migliore”. Cadendo nel peccato, alcuni cadono al tempo stesso nella vergogna e in un senso di colpa morboso, o, al contrario, altri cadono nella sfrontatezza e nell’impurità. Il primo è il caso dell’uomo pieno di scrupoli che si accusa all’infinito, ma invano; 11 secondo è quello del pubblico peccatore che quasi si vanta e difende il suo peccato. Il modo buono di peccare è legato alla conoscenza di Dio come Colui che ti sostiene, Colui che mette le mani sotto di te per sorreggerti. Infatti dice il Salmo 36: “se il giusto inciampa non cade perché il Signore mette la mano sotto di lui”. Incespicando, quello che importa è cercare le mani del Signore per consegnarsi a Lui anche nel momento della caduta. Abbiamo cura che la mano del Signore ci riceva al momento della caduta. C’è chi cadendo si fa schiacciare, altri invece no… per loro anche il peccato coopera per la loro santità Serve farli diventare più umili e attenti. E’ nella tentazione, quando ciascuno sperimenta la propria debolezza, che ci si può rivolgere in piena verità a Dio, che è talmente pronto a ricevere chi cade, che dà l’impressione di aver lasciato tutti gli altri per occuparsi soltanto dì lui. Ciò che è da temere di più nella Pasqua di questo anno è il “cattivo modo di peccare”. E’da temere la sfrontatezza del non saper più ammettere le proprie debolezze e i propri peccati. Chi difende il proprio peccato non può far Pasqua. Non può ricevere la ventata della vita nuova che esce dal sepolcro vuoto. E’ da temere anche quel senso di colpa paralizzante che ci impedisce di sperare in cose nuove e più belle: tanto è impossibile, si dice. Chi non spera più e guarda solo al proprio male, non cammina e non sa tracciare con decisione un cammino neanche per i più giovani.

Dio nella nostra debolezza e noi nella sua bellezza

Il Dio che muore in croce entra nel fallimento e nella sofferenza dell’uomo. Come non mi fa paura il Dio bambino del Natale, così non mi da soggezione il Dio crocifisso che condivide con me maledizione e morte. Posso raccontargli la mia debolezza e dirgli: “Ho davvero bisogno di Te. Senza di Te tutto è instabile, frammentato e diventa cattivo anche ciò che nasce buono. Salvami Signore!” Perché Gesù risorge e dà forza ad ogni debolezza che gli è veramente consegnata. Non lo so dimostrare con ragionamenti, ma, con tutte le sorelle e i fratelli cristiani, posso testimoniare che la compagnia con il Signore incontrato nei Sacramenti, nella Parola pregata, nella comunità e nei più piccoli, ci fa puntare con decisione verso un mondo più bello e giusto e verso un desiderio sempre più grande della sua Presenza. Questo passaggio tra debolezza e forza è il vero significato del nostro augurio di Don Paolo

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