Mamma mia che cosa grossa siamo noi

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Lo scrive Francesco Milli, un missionario francescano, fiorentino ex paracadutista, morto a 44 anni in Tanzania nel Natale del 1978, portato via da una forma violenta di malaria “perniciosa”. Lo scrive da uomo di fede che vive in una zona del mondo segnata “dall’inequità che genera violenza”, come dice papa Francesco, e da tanta povertà. In questo Natale di Gesù Cristo, mi fa pensare… Il Figlio di Dio viene nel mondo perché noi siamo “una cosa grossa”, un affare serio, preziosissimi per Lui:

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Dio si fa Bambino, compagno di strada dell’uomo, fino ad entrare nella sua morte per dargli occasione di salvezza. Venendo nel mondo è come se dicesse ad ogni uomo “tu sei prezioso! Per questo sono venuto, perché nessuno vada perduto, questa è la volontà del Padre”. Può sembrare strano, ma credere veramente nel Dio di Gesù Cristo significa credere con la stessa determinazione e chiarezza anche nel valore assoluto di ogni uomo. Sei credente quando riconosci la preziosità della vita che ti è data e la vivi in pienezza. Come? Papa Francesco dice:

“La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri…

Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri”,nelle tantissime forme in cui è possibile fare questo. Il papa continua affermando senza timore di smentita che l’attuale confusione personale e sociale ha una causa ben precisa:

“… la tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene.”

Se l’uomo credesse nella preziosità della propria e, insieme, dell’altrui vita, non lascerebbe spazio al cuore comodo e avaro! Impegnerebbe se stesso in una lotta per il bene: sperimenterebbe la gioia della fierezza, sentimento derivante dalla capacità di sopportare anche le difficoltà, il dolore e la fatica, per qualcosa di giusto, buono e grande. Per papa Francesco la tristezza individualista, che è il contrario della gioia della fierezza, nasce dal voler essere signori assoluti di se stessi, dal “fare quello che mi pare”. Che peccato quando noi, donne e uomini, più o meno adulti mettiamo il nostro tornaconto prima della ricerca del bene! E’ un’altra iniezione di tristezza a questo mondo. Che bello invece contemplare e trovare forza nella nascita di Gesù Cristo, venuto perché nulla vada perduto della bellezza originaria dell’uomo. Il Signore Gesù vuole il bene dell’uomo, la sua gioia: mi posso fidare della sua Parola, perfino dei suoi comandi. Per questo posso concludere citando ancora il papa e il suo accorato invito in questo Natale:

“Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore… Chi rischia, il Signore non lo delude.”

Buon Natale

don Paolo

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