Collocazione provvisoria

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Don Tonino Bello, vescovo di Moffetta, morto il 20 aprile 1993 a soli 58 anni, scrive:

“Nel Duomo vecchio di Moffetta c’è un grande crocifisso di terracotta L’ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemano definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta. “collocazione provvisoria”.

La scritta che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso da lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce, non solo quella di Cristo. Il vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. “Da mezzanotte fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio fratello che soffri C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovrumana Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà., finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra un assurdo. Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e Il sole della pasqua irromperà tra le nuvole in fuga” La Pasqua di Gesù, la Sua morte e resurrezione, ci ricorda che il dolore e la sofferenza sono una “collocazione provvisoria” della nostra vita! In questa epoca In cui tante cose che vorremmo “definitive” si rivelano invece “provvisorie” – il lavoro, alle volte anche la casa, spesso anche le relazioni più Importanti, perfino anche la nostra chiesa! – è una bella notizia l’annuncio che, sicuramente e per tutti, è “provvisorio” anche il nostro incontro con Il dolore e la morte. Nella Parola del Signore troviamo sempre la certezza assoluta della vittoria d Dio Padre sul potere del male che ha nel dolore e nella morte i suoi segni. La Pasqua ci Invita a celebrare la Sua vittoria, la Sua resurrezione perché diventino anche nostra vittoria e nostra continua forza di resurrezione. La nostra comunità Invita dunque tutti a vivere con semplice intensità i riti e le preghiere che insieme celebreremo in questi giorni santi, perché sono i momenti forti In cui il Padre vuole rendere partecipi i Suoi figli della Sua stessa vita, quella non “provvisoria”, bensì quella definitiva ed eterna che è il nostro destino In cui fin da ora possiamo collocarci!

Buona Pasqua

 

Don Paolo

Educare: dare la risposta “Sbagliata”

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Non pretendo certo che questa sia l’unica definizione di “educazione”. Si potrebbero individuare molteplici approcci a questo tema.Voglio solo condividere una riflessione emersa tra di noi, nei lavori iniziali di questo nuovo anno pastorale. Siamo partiti da un brano del libro biblico “Atti degli Apostoli” al capitolo terzo:

Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.

Questo è un racconto di guarigione avvenuto nella prima chiesa cristiana. E’ un racconto storico, ma possiamo leggerlo anche nella sua carica simbolica, che lascia intravedere la storia di una “educazione” riuscita. Infatti il protagonista è un uomo, che si trova inizialmente in una situazione di blocco, di mancanza di autonomia, seduto e dipendente dall’elemosina degli altri e alla fine è rinvigorito, capace di camminare e di saltare, cioè di stare in piedi da solo, di agire: da “portato” a “saltante”. Cosa è avvenuto? Cosa ha cambiato la situazione? Al centro del racconto c’è la scena della domanda dell’uomo e della risposta “sbagliata” di Pietro e Giovanni. L’uomo chiede ciò di cui sente il bisogno in quel momento: due soldini per far sera e soddisfare il suo bisogno primario del momento. Pietro e Giovanni (per fortuna) non hanno soldi ed allora rispondono al bisogno dell’uomo dando altro, quello che loro hanno già avuto, quello che dà a loro la forza di stare in piedi, cioè la forza di Cristo. Per questo dico che la risposta di Pietro e Giovanni è “sbagliata”. Gli era stato chiesto pane e soldi e loro hanno dato Cristo e il suo Vangelo. Ma solo così l’uomo è diventato un “camminante” ed un “saltante” che non fa più l’elemosina. Pensate se Pietro o Giovanni avessero avuto qualche euro in tasca e avessero dato la risposta giusta! Quell’uomo avrebbe passato la vita a chiedere l’elemosina. Allontaniamoci dal brano e veniamo alla nostra vita di tutti i giorni, solo per farci qualche domanda a due livelli di riflessione: sul piano squisitamente umano mi chiedo: non è che la fatica ad educare oggi, a far crescere, derivi dall’aver sempre dato ai più giovani tutto quello che loro ci chiedevano, le risposte “giuste” (Ipod, Itouch, Iphone, la notte fuori, la scuola facile, la giustificazione di tutto, il problema sempre già risolto…) rendendoli dei mendicanti che a fine giornata hanno di tutto, ma sempre mendicanti? E’ giusto che sia la loro domanda esplicita a gestire la nostra offerta? O questo non è piuttosto un modo comodo? “Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni”: alle volte ho l’impressione che il nostro sguardo non sia fissato sui reali e profondi bisogni di chi, più giovane, ci è affidato, ma piuttosto sulla preoccupazione che “abbia quello che hanno tutti” o qualcosa in più. Forse il primo grande lavoro degli adulti che educano è sapere cosa è veramente importante nel vivere e donare ciò che è veramente essenziale. Su un altro piano, collegato, ma più legato alla nostra vita di parrocchia, mi chiedo se, come comunità, sappiamo dare veramente ciò che abbiamo, cioè il nome e la forza di Cristo Gesù, o se alle volte non cadiamo nel tranello della “risposta giusta”. Alle volte ho un po’ paura che anche la parrocchia si lasci “fregare”: ci viene chiesto di spenderci nell’educazione, nel tenere qui ragazzi e giovani, nell’aiutarli a scuola, nel dare loro amici giusti… sapremo dare sempre la risposta “sbagliata”? Quella risposta è Gesù di Nazareth, la sua forza, il suo perdono, il suo amore, il suo stile di vita. Pochi ce lo chiedono, ma è Lui il segreto. E’ lui che fa camminare, saltare, lodare e dopo viene anche il resto!

don Paolo

Aspettare che le nostre anime ci raggiungano

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Un esploratore bianco, ansioso di arrivare presto alla sua meta nel cuore dell’ Africa, pagava un salario extra affinché i suoi portatori andassero più velocemente. Per vari giorni i portatori affrettarono il passo. Un pomeriggio, tuttavia, si sedettero tutti per terra e depositarono i loro carichi, rifiutandosi di continuare. Qualunque somma di denaro fosse loro offerta, non si muovevano. Quando infine l’esploratore chiese una spiegazione per quel comportamento, ottenne questa risposta: «Siamo andati molto velocemente e adesso non sappiamo più quello che stiamo facendo. Ora abbiamo bisogno di aspettare che le nostre anime ci raggiungano».
(P. Coelho)

Non so che significato intendesse dare l’autore a questo raccontino, che viene dalla tradizione sciamanica. Personalmente lo trovo interessante per fare gli auguri di buon Natale nel 2010. Celebrare bene la festa cristiana del Natale di Gesù (fare quindi un “Buon Natale”) presuppone che noi rientriamo in noi stessi e ci fermiamo un attimo, almeno per chiederci se veramente sappiamo quello che stiamo facendo. Allora facciamoci l’augurio di saper aspettare le nostre anime! “Aspettiamo le nostre anime” perché l’uomo si rovina se crede importante solo il “fare”.
“Aspettiamo le nostre anime” perché la vita interiore, la capacità di prendere in mano tutto se stessi, di ridirsi cosa si desidera veramente per se e per gli altri… tutto questo non è facoltativo, ma essenziale all’uomo.
“Aspettiamo le nostre anime” perché Gesù di Nazareth, di cui festeggiamo la nascita, ha insegnato che la scoperta del volto del Padre Suo richiede questo primo passo:
“Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”.
“Abbiamo bisogno di aspettare che le nostre anime ci raggiungano”: da qui potrà iniziare un Buon Natale! Diceva S. Anselmo d’Aosta già nell’anno mille:

“Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, dì ora con tutto te stesso, dì ora a Dio: Cerco il tuo volto. “II tuo volto, Signore, io cerco” (Salmo 26, 8)…. Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te appartiene?… Guarda, Signore, esaudiscici, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te… Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti”.

La festa di Natale ci ricorda che Dio ha visitato il Suo popolo, e la ricerca dell’uomo non sarà vana. E Gesù, il bimbo del presepe, è l’offerta di pace e di salvezza che Dio continua a portare agli uomini, da Lui amati:

«Non temete: dice l’angelo ai pastori, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Si incroceranno quest’anno la nostra ricerca e la Sua venuta? Per i pastori del presepe avvenne l’incontro e se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito… Il Signore, sempre visita il Suo popolo nella pace: ci regali in questo Natale la Sua pace e sapremo fare pace con gli altri; ci doni la Sua forza e sapremo superare le divisioni che questo anno ha portato; ci stia vicino e sapremo condividere coraggiosamente con chi ha bisogno. Don Paolo

Tra debolezza e grazia

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Il peccato é peccato

In nome di Dio, cioè davanti al Suo volto di luce, dovremo pur dire che certe cose sono peccato, maledizione, bruttura: lo sfruttamento dei più deboli, il disimpegno verso chi è in difficoltà, ogni tipo di violenza, la ricerca smodata del piacere e del proprio interesse, l’ira, l’impudicizia di una sessualità senza più dignità, l’ingiustizia nella distribuzione dei beni, la mancanza di attenzione al creato, l’incapacità a condividere e sopportare i bisogni degli altri, la mancanza di spirito di sacrificio per il bene, le ostinazioni… Nel mondo di chi è reso famoso dalla TV, come nella vita di chi è responsabile di un potere politico o economico, o nel quotidiano delle nostre famiglie, tutto questo è peccato serio davanti a Dio e triste bruttura nella vita degli uomini. E allora? La nostra condanna verso questi mali si è fatta debole e sembra quasi intrisa di ipocrisia: se abbiamo il coraggio della sincerità, gli stessi malanni li vediamo albergare anche nel nostro cuore o per lo meno lì accanto! C’è chi comincia a dire che poi infondo non c’è nulla di male… o peggio ancora, si perde forza nel comunicare ai più giovani certi valori perchè tanto anche noi non siamo un granché!

La via della Pasqua:il peccato “migliore”

Nella grande veglia pasquale che i cristiani celebrano nella notte tra il Sabato Santo e il giorno di Pasqua ritorna una esclamazione strana: Felice colpa! Tutti gli anni i cristiani hanno il coraggio di dire che la colpa può essere il luogo per incontrare l’amore di Dio. E 10 diciamo in genere per esperienza concreta. Citando San Bernardo, André Louf, monaco francese recentemente scomparso, dice: Esistono due modi di peccare. Uno cattivo e uno “migliore”. Cadendo nel peccato, alcuni cadono al tempo stesso nella vergogna e in un senso di colpa morboso, o, al contrario, altri cadono nella sfrontatezza e nell’impurità. Il primo è il caso dell’uomo pieno di scrupoli che si accusa all’infinito, ma invano; 11 secondo è quello del pubblico peccatore che quasi si vanta e difende il suo peccato. Il modo buono di peccare è legato alla conoscenza di Dio come Colui che ti sostiene, Colui che mette le mani sotto di te per sorreggerti. Infatti dice il Salmo 36: “se il giusto inciampa non cade perché il Signore mette la mano sotto di lui”. Incespicando, quello che importa è cercare le mani del Signore per consegnarsi a Lui anche nel momento della caduta. Abbiamo cura che la mano del Signore ci riceva al momento della caduta. C’è chi cadendo si fa schiacciare, altri invece no… per loro anche il peccato coopera per la loro santità Serve farli diventare più umili e attenti. E’ nella tentazione, quando ciascuno sperimenta la propria debolezza, che ci si può rivolgere in piena verità a Dio, che è talmente pronto a ricevere chi cade, che dà l’impressione di aver lasciato tutti gli altri per occuparsi soltanto dì lui. Ciò che è da temere di più nella Pasqua di questo anno è il “cattivo modo di peccare”. E’da temere la sfrontatezza del non saper più ammettere le proprie debolezze e i propri peccati. Chi difende il proprio peccato non può far Pasqua. Non può ricevere la ventata della vita nuova che esce dal sepolcro vuoto. E’ da temere anche quel senso di colpa paralizzante che ci impedisce di sperare in cose nuove e più belle: tanto è impossibile, si dice. Chi non spera più e guarda solo al proprio male, non cammina e non sa tracciare con decisione un cammino neanche per i più giovani.

Dio nella nostra debolezza e noi nella sua bellezza

Il Dio che muore in croce entra nel fallimento e nella sofferenza dell’uomo. Come non mi fa paura il Dio bambino del Natale, così non mi da soggezione il Dio crocifisso che condivide con me maledizione e morte. Posso raccontargli la mia debolezza e dirgli: “Ho davvero bisogno di Te. Senza di Te tutto è instabile, frammentato e diventa cattivo anche ciò che nasce buono. Salvami Signore!” Perché Gesù risorge e dà forza ad ogni debolezza che gli è veramente consegnata. Non lo so dimostrare con ragionamenti, ma, con tutte le sorelle e i fratelli cristiani, posso testimoniare che la compagnia con il Signore incontrato nei Sacramenti, nella Parola pregata, nella comunità e nei più piccoli, ci fa puntare con decisione verso un mondo più bello e giusto e verso un desiderio sempre più grande della sua Presenza. Questo passaggio tra debolezza e forza è il vero significato del nostro augurio di Don Paolo

Speranza, Indignazione, Coraggio

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Indignarsi” o “Indignazione” è un termine poco usato nel linguaggio quotidiano. Quando va bene usiamo “arrabbiarsi” o “rabbia”; quando va male si cade nella volgarità. il papa ha invitato in maniera nuova e fortissima i giovani ad un impegno sociale: Benedetto XVI chiede a tutti di impegnarsi di più nella vita civile ed in particolare invita i giovani a non guardare il loro futuro con ansia e timore, a non rinunciare ai loro sogni, ma a cercare tenacemente risposte alle loro domande. Nessuna rassegnazione e tanta speranza, insomma: è questa la «generazione di Benedetto XVI. In effetti l’indignazione, cioè una certa rabbia davanti alle cose storte o addirittura malvagie appartiene alla fede cristiana. La pensava così sant’Agostino. Diversi autori (tra cui il Prof. Zamagni da cui ho sentito la citazione) attribuiscono al santo vescovo di Ippona, questa frase: “La speranza ha due figli bellissimi: l’indignazione e il coraggio. L’indignazione davanti alle cose così come sono, il coraggio per cambiarle! (“Spei duo pulchri liberi sunt: indignatio et animus. Prima ante res ut sunt, secundus ad mutandas.”) La speranza cristiana dunque è madre di indignazione e coraggio. Vediamo perché.

La speranza

La speranza, per i cristiani, è una virtù che è data all’uomo dal dono di Dio. Nasce e cresce frequentando il Signore. E’ la certezza che Dio è vicino e non ci abbandona, né ora né mai. Così possiamo essere sicuri di non perderci. E’ così essenziale alla vita cristiana che ha la stessa importanza della fede e della carità, e il suo opposto, la disperazione, è un atteggiamento grave quanto l’incredulità o la mancanza di amore. Il papa più volte ci ha richiamati a custodire la speranza ricordandoci che quando si è privi di essa non si cammina. A chi è più giovane e a chi ha il compito di educare il papa ricorda che l’«anima dell’educazione» si radica in una «speranza affidabile». Senza speranza un ragazzo non avrà motivazione e forza per lottare per un futuro! La speranza dei cristiani è fondata sulla resurrezione di Gesù: Lui ha vinto la morte ed è con me, anzi in me. Con Lui posso lottare contro ogni forza di male ed essere certo che vincerò anche la morte, o meglio, Lui in me vincerà anche la morte! La speranza cristiana è la certezza che qui ci può essere un mondo migliore e, dopo la morte, il paradiso.

L’indignazione

L’indignazione è uno stato profondo dell’animo che i vangeli attribuiscono spesso a Gesù. Davanti alla durezza di cuore dei capi di Israele, davanti al disprezzo dei piccoli da parte dei suoi discepoli… L’apostolo Paolo suggerisce: Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira,e non date spazio al diavolo. Insomma bisogna arrabbiarsi! Certo non si parla dell’ira di un uomo che non sa controllarsi o vuole a tutti i costi affermare se stesso… Cos’è dunque l’indignazione e perché è figlia della speranza? La scrittura definisce indignazione la partecipazione di un uomo al giudizio di Dio sul male. Come Dio si arrabbia davanti al male e lo vuole cambiare, così l’uomo di Dio vive un sentimento di indignazione davanti all’andare male delle cose di questo mondo e vorrebbe vederle andare diversamente, secondo la volontà di Dio. E’ proprio la speranza, cioè la certezza che il mondo può essere migliore che fa nascere l’indignazione. Esiste dunque un’indignazione bella e vera, che non fa barricate e non usa violenza, che non si lascia strumentalizzare da nessuno, ma che sa guardare in faccia i problemi, sente profondamente le cose, evita la pigrizia e la banalità, sa prendere su di se la ricerca della soluzione delle questioni.

Il coraggio

Nel vangelo si parla spessissimo di coraggio: è l’atteggiamneto chi sa stare a testa alta e parlare francamente, senza paura di nessuno. Gli apostoli mostrarono molto coraggio nel testimoniare una fede che li portò a subire persecuzione e morte… Nella frase di Agostino il coraggio è figlio della speranza, perché solo chi intravvede un futuro possibile si impegna rischiando e a testa alta. Se uno non pensa ci sia futuro non si impegna più di tanto. Certo esiste un coraggio disperato: è quello di chi ha il coraggio di rischiare la propria vita per niente (per un gioco, per una bravata…). Ma esiste anche il coraggio pieno di speranza di chi accoglie con gratitudine il dono di figli e vuole lasciare a loro un mondo vivibile, di chi si impegna per il bene di tutti, di chi porta avanti lotte per la giustizia, per il rispetto dell’uomo e del suo preziosissimo ambiente, di chi sa che ora ha dei talenti, ma gli sarà chiesto se li ha usati bene…

Noi cristiani testimonieremo vera speranza se sapremo indignarci contro tutto ciò che è ingiustizia e causa di sofferenza e se avremo sempre il coraggio di credere che cambiare non solo è possibile, ma necessario. E su questa strada possiamo incontrare tante donne e uomini di buona volontà, che non per interesse di parte, ma per desiderio di bene vivono lo stesso impegno. Solo così saremo di aiuto ai più giovani per liberarli da una vita pigra, superficiale e spesso piena di paure!

Don Paolo

La fede cresce crescendo

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Dice il proverbio: l’appetito viene mangiando. Sembra un controsenso: mangiando il desiderio di mangiare, l’appetito appunto, dovrebbe diminuire non crescere! Sappiamo invece che è una regola generale della vita dell’uomo. Essa vale ancora di più nelle nostre amicizie e nei nostri affetti: più ci si frequenta con persone amiche, più cresce il desiderio di vedersi… Al contrario, più si lascia passare il tempo, più l’amicizia può raffreddarsi. Mi direte che non è sempre così. Verissimo… So però che così succede nel rapporto con il Signore Gesù, il risorto, ora vivo nella comunità che ascolta la Sua parola e celebra i Suoi gesti. Ascoltiamo la parola del Papa, nel momento in cui si rivolge alla Chiesa universale, invitandola a vivere l’ANNO DELLA FEDE (dall’ 11 ottobre 2012 a novembre 2013) : “I credenti si fortificano credendo”. Sant’ Agostino aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. La sua vita infatti fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio. La sua esperienza lo spinge ad affermare che “solo credendo, la fede cresce e si rafforza”; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un Amore che si sperimenta sempre più grande, perché ha la sua origine in Dio. Continua il Papa: La “porta della fede” che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa, è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma… La Chiesa nel suo insieme, ed i pastori in essa, come Cristo si mettano in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza. In questo ANNO DELLA FEDE, nato per celebrare i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II ed i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa esorta chi si dice cristiano a non dare per “scontata” la propria fede. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Noi diciamo di essere cristiani e forse non crediamo sul serio in Gesù vivo oggi! Anche la nostra comunità è spesso apprezzata per i servizi culturali e sociali che svolge, ma il suo vero compito è porre ognuno di fronte alla presenza viva di Gesù risorto. Sapremo farlo? Riprendiamoci il tempo per la preghiera, comune e personale, per l’approfondimento della conoscenza della Parola di Dio, per i sacramenti ben celebrati nella comunità. L’anno della fede ricorda a tutti noi che la fede cresce solo credendo!

 

Don Paolo

Luce da non perdere

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«Se la pianta non si orienta verso la luce, appassisce. Se il cristiano rifiuta di guardare la luce, si ostina a guardare solo le tenebre, cammina verso la morte lenta, non può crescere né costruirsi in Cristo. »      (frère Roger di Taizé). Non ostiniamoci a guardare solo le tenebre! So bene che non mancano i motivi per guardare alle situazioni di buio, alle cose che non vanno… Ma a fare così si appassisce, ci si intristisce e questo non è ciò che vuole il Signore. E lui, il Signore, cosa fa per liberarci dal buio? Nel nostro mondo la luce è sempre “precaria”: sia nella vita personale come nella vita sociale vediamo bene l’alternarsi di luci e tenebre, e alle volte il prevalere delle tenebre. Dal nostro punto di vista (terrestre) non possiamo non constatare che la morte sancisce il prevalere delle tenebre. Fu così anche nella morte di Gesù quando “si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio”: le tenebre sembrarono vincere la luce proprio nel suo massimo splendore (da mezzogiorno alle 3)! Se non si vuole appassire ci vuole un’altra luce, più stabile e che vinca la precarietà, una luce non di questo mondo e “a tempo indeterminato”! Questa luce può venire solo da un altro mondo ed è ciò che il Signore fa per noi. E’ la luce che trovo solo nella Pasqua di Gesù, nella sua resurrezione. L’annuncio della sua resurrezione è l’unica luce che può dare vita. Dubiteremo ancora per molto? Il fatto che la resurrezione è incomprensibile pienamente alla nostra mente e che i nostri sensi non sperimentino il corpo del risorto ci terranno ancora per molto lontano dall’avere fede in Lui anche se non vediamo, ma udiamo soltanto l’annuncio dei testimoni? Non vorrei che ci decidessimo troppo tardi, quando ormai abbiamo passato tutto il nostro tempo senza la chiara certezza della presenza di Gesù con noi, della sua vittoria sulla nostra morte, del suo paradiso. Senza la luce del risorto la nostra vita quotidiana rimane incerta, precaria, sempre esposta alla paura: ogni piccola cosa diventa un problema, l’orizzonte si accorcia, non si ha neanche il coraggio di chiederci fino in fondo se tutto ciò che viviamo ha veramente senso. Per non parlare delle ferite e dei fallimenti: diventano un dramma veramente inaffrontabile. Ma noi non siamo creati per fare a meno della luce del Risorto; e se accettiamo di credere in essa allora succede una vera trasformazione. Lo dico ancora con le parole di frère Roger di Taizé : “A poco a poco Cristo trasforma e trasfigura tutte le forze ribelli e contraddittorie che ci sono dentro di noi… Una volta trasfigurata da Cristo, anche le ferite e gli insuccessi si trasformano in una fonte di energia, in una sorgente da cui scaturiscono le forze di comunione, di amicizia e comprensione. Questa trasfigurazione è l’inizio della risurrezione sulla terra, è vivere la Pasqua insieme a Gesù; è un continuo passare dalla morte alla vita.” La pretesa di Gesù, di essere la Luce che illumina la nostra vita quotidiana, va accolta. Così la sua pretesa di essere il nostro compagno di viaggio; lo sarà se avremo il coraggio della preghiera e dell’ascolto. Buona pasqua! d. Paolo Signore, che nessun nuovo mattino venga ad illuminare la mia vita senza che il mio pensiero si volga alla tua Resurrezione e senza che in ispirito io vada, coi miei poveri profumi, verso il sepolcro vuoto dell’orto! Che ogni mattino sia per me mattino di Pasqua! Che ognuno dei miei risvegli sia un risveglio alla tua presenza vera, un incontro pasquale con Cristo nell’orto, questo Cristo talvolta inatteso. Che ogni episodio della giornata sia un momento in cui io ti senta chiamarmi per nome, come chiamasti Maria! Concedimi allora di voltarmi verso di Te. Concedimi con una parola sola ma con tutto il cuore, di rispondere: “Maestro!”

 

Tonino Bello

Un cammino conveniente

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Tra fine novembre e inizio dicembre abbiamo avuto in parrocchia la visita di tre missionari della Comunità Missionaria di Villaregia. Al primo incontro, padre Marco (uno dei tre) ha esordito chiedendoci come mai quando litighiamo con qualcuno, quando creiamo rotture con gli altri, poi in fondo al cuore ci stiamo così male? Il motivo decisivo è che non siamo fatti per litigare, ma per vivere in comunione. L’immagine che portiamo scritta in noi stessi è quella della Trinità divina. Il Dio che si è rivelato pienamente in Gesù di Nazareth è, come preghiamo abitualmente, Padre, Figlio, Spirito Santo: un Dio in tre persone unite e che si amano e non un Dio unico e solitario. Proprio all’inizio della Bibbia, Dio-Trinità dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza…”. Stupisce questo plurale, “Facciamo … a nostra…”. Dio parla con suo Figlio e con lo Spirito ed insieme disegnano l’uomo a loro immagine e somiglianza, quindi un uomo che non può stare nella solitudine e nella separazione perchè fatto ad immagine di una comunione. Quando l’uomo segue la propria natura e fa unità con gli altri ha pace; quando non segue questo è nella sofferenza. Non solo. L’unità con gli altri rende davvero presente il Signore che dice: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”. E la presenza del Signore tra noi è certamente vita, luce, coraggio, rinnovata capacità di lottare per il bene. La festa di Natale che giunge portando la sua luce nella corsa dei nostri giorni, è occasione preziosa per tutti, credenti e non, per sentire la nostalgia profonda dell’unità e della pace. C’è poco da fare: a Natale i nostri vecchi litigi e le nostre fratture ci fanno più male. Sappiamo bene che andrebbero superate. Il bimbo, da quella culla povera, ci dice che la bellezza e la pace abitano là dove si è fedeli alla propria immagine più profonda, fedeli alla comunione e all’unità. Ma il Bimbo di Betlemme, non è solo un maestro, Egli sa lottare; è “Grazia apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (lettera di Paolo a Tito 2,11) che libera dal Diavolo (parola greca che significa colui che crea fratture). Paradosso di Gesù: per “stare in pace” ci vuole la lotta! Lotta contro tutto quello che vorrebbe portarmi a giudicare senz’appello gli altri, a separarmi da loro, ad affermare con violenza la mia posizione. In famiglia, nel lavoro, in comunità, nella politica, dovremo lottare contro il principio della divisione e della menzogna. La scoperta che i cristiani fanno è che questa strada conviene! E’ più facile, meno dispendiosa di energia e decisamente più bella: “Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e io vi ristorerò. Imparate da me che sono mite e umile di cuore…” dice Gesù. Per questo la nostra comunità celebra il Natale pregando. Pregare è come allungare la mano perchè il dono, già pronto, diventi nostro. Vogliamo pregare, perchè la sua forza entri in noi, e la nostra vita sia più fedele al progetto, all’immagine originaria. La pace del Natale viene da lì. Allora, Bimbo Santo aiutaci nell’unità  e ascolta la nostra preghiera:

Vieni Signore Gesù, illumina la notte di speranza, accendi il desiderio di incontrarti; Tenerezza di Dio verso ogni uomo, Tu – solo – ci rivestirai di gioia. Vieni Signore Gesù, pane dei poveri del mondo, sei lievito d’eterno nella storia; sorgente zampillante di bellezza Tu – solo – ci disseterai d’Amore. Vieni Signore Gesù, copri col tuo mantello la nostra umanità ferita; fuoco che sempre brucia di perdono, Tu – solo – ci riscalderai di Pace.

 

Don Paolo

Cambiare

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Tutti vorremmo ritrovare un modo di vivere più vero, più umano: bisognerebbe cambiare un po’ i ritmi, i rapporti; ci piacerebbe avere meno ansie e preoccupazioni. Invece lo stile di vita che si và affermando nel nostro mondo ha tutt’altra caratteristica. E tutti abbiamo l’impressione di essere dentro ad un mondo che non possiamo cambiare. Ci sembra di essere su un treno ormai lanciato dal quale ora non possiamo scendere e nemmeno possiamo guidare. “Tocca ai potenti del mondo, a chi conta, cambiare le cose. Noi, povera gente, cosa possiamo fare?” La Pasqua è la festa dei cambiamenti: cambia la stagione (finalmente!) e cambia la vita e la morte degli uomini! Cambia la vita degli uomini…sì, perché le donne e gli uomini che credono alla Pasqua sono capaci di grandi rivoluzioni. “La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’ importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno”   (Atti, 4) D’istinto, in questo testo, osservo cosa fanno gli apostoli: null’altro che annunciare e testimoniare la resurrezione del Signore Gesù. La certezza della resurrezione di Gesù crea due conseguenze:  tutti hanno il coraggio e la forza di vivere uniti; nasce una comunità che si prende a cuore il bisogno di ognuno e non ci sono più “bisognosi”. Nessun piano sociale, nessuna manovra economica! “Davano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù”. Tenere davanti agli occhi la certezza della resurrezione di Gesù e della propria resurrezione dà ai cristiani la forza per azzardare un nuovo modo di vivere, senza paura. E chi non ha paura di rimetterci, di perdere qualcosa, di non farcela, di rimanere solo, è libero per occuparsi con gioia e concretezza anche del bisogno degli altri. La Pasqua poi cambia la morte degli uomini: quel mostro che è appunto la morte, “entrato nel mondo per invidia del Diavolo” (Sap. 2…) e non per volere di Dio, con la resurrezione di Gesù diviene il passaggio alla Vita Eterna, la nascita alla Pienezza, come per i semi gettati nei campi in questi giorni che morendo iniziano a vivere pienamente. E’ la paura della morte che rende noi uomini prede dell’attaccamento malsano alla vita; solo la certezza che l’amore del Padre per ognuno di noi è più forte della morte, rende vivibile nella pace gli istanti di questa vita. E sia così per tutti noi: questa Pasqua sia l’inizio di una vita nuova, nel Signore Gesù…BUONA PASQUA !  Dice il salmo 15 Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.

 

Don Paolo

Assonanze di Natale

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La nascita di Dio nel mondo degli uomini, il Suo diventare uno di noi, non è solo un fatto storico avvenutopoco più di duemila anni fa.In Gesù, Dio si è unito a tutta l’umanità, ad ogni uomo, fatto a Sua immagine e somiglianza: così nell’intimodi ognuno c’è la Sua presenza, e nella festa del Natale celebriamo la Sua vicinanza, unica vera vittoria delle nostre solitudini. Don Mazzolari, commentando uno dei nomi che il vangelo attribuisce a Gesù, si esprimeva così:

«A lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi. Egli viene dove volete, dove vi piace, avendo preso dimora con voi: in casa vostra, in fabbrica, in piazza. Ovunque andiate, Egli vi segue: anzi, ci ha preceduto. Egli occupa ogni cosa nostra, e ogni nostra abitazione, da quando si è fatto uomo per stare con noi…Egli ci attende e ci raggiunge, ci rampogna e ci consola, sta all’avanguardia e alla retroguardia, a seconda del nostro camminare a ritroso o in armonia con noi stessi. Egli cammina con ognuno su tutte le nostre strade. Come “sentire e vedere”

questa intima presenza? Perché una persona si converte a Dio e al Suo amore? Perché incomincia a riconoscerlo? I motivi possono essere tanti e tanti sono gli uomini e le donne che accolgono il dono del rapporto con il Padre, ognuno con una sua storia. Ne scelgo una, raccontata da Madre Teresa di Calcutta:

“Non lo potrò mai scordare: una volta venne alla nostra casa del moribondo un ateo. Pochissimi minuti prima che arrivasse lui, diverse persone avevano portato dentro un uomo raccolto per strada. Probabilmente lo avevano raccolto in una fogna o in un immondezzaio, poiché era ricoperto di vermi. Una sorella si prendeva cura di lui, senza avvedersi che qualcuno stava osservando il suo modo di toccare l’infermo, di guardarlo, di sorridergli e tutto quanto il resto. Per caso, anch’io mi trovavo lì in quel momento. L’ateo stava lì in piedi e osservava la sorella. Quindi venne verso di me per dirmi: “Sono venuto qui senza Dio. Ho potuto osservare l’amore di Dio in azione. L’ho visto attraverso le mani di questa sorella, attraverso il suo volto, attraverso la sua tenerezza, attraverso il suo amore per quel povero infermo. Sì, madre, ora io credo”. Da parte mia, posso assicurare che non lo conoscevo. Tanto meno sapevo che fosse un ateo, stando a quel che mi disse.”  

Come può, quell’ateo, dire di aver scoperto l’amore di Dio? Ha visto semplicemente una donna prendersi cura di un uomo in grave difficoltà…Certe parole (e principalmente la Parola di Dio contenuta nelle Scritture Sacre), certi gesti (e principalmente i Sacramenti della Chiesa), certe storie (e principalmente quelle di amore vero, di dedizione sincera)… hanno il potere di creare dentro di noi un’assonanza (da avere suono simile) con la presenza del Signore iscritta nella nostra parte più profonda, nel nostro spirito. Nel racconto di Madre Teresa si coglie che l’intimo di quell’uomo è entrato in assonanza con il gesto pieno di amore di quella suora. Da dentro e da fuori di lui tutto ha gridato nello stesso modo che Dio ama e ama così e si può affidare la propria vita a quell’amore! Questa è l’assonanza di Natale, nascita di Cristo in noi! D’altra parte ci sono gesti che sentiamo drammaticamente dissonanti con il nostro intimo e non creano pace ma, in fondo al cuore, solo profonda lacerazione… Il Signore li chiama peccati e noi capiamo che non sono solo un’offesa al Suo amore, ma anche un tradimento della bellezza che è dentro di noi. Fare Natale è incontrare Gesù e tutti ne abbiamo bisogno: • sarà possibile solo se ascolteremo con attenzione la Parola che ci narra di Lui e Lo sapremo vedere nei gesti e nelle storie che ci rendono presente il Suo ricordo vero e non deforme; • sarà possibile solo se là dove c’è dubbio, pigrizia, o un poco di cattiveria, ci si impegnerà a fare chiarezza, a svelare il male e a cercare il bene con passione, senza rimandi e indolenze. E’ apparsa la Grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo (s. Paolo): questo è Cristo, vero dono del Natale. A tutti regali la Sua Salvezza!

Buon Natale!

 

d. Paolo

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