E’ arrivato il Natale – di Don Giuseppe

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natale_2018Ecco, cari parrocchiani: anche in questo 2018 è arrivato il Natale e tutti vogliamo cogliere la “bellezza” di questo momento. Però, credo, non possiamo e non dobbiamo dimenticare chi passerà questo natale nella gioia e  nella pace.

Gli avvenimenti internazionali e, forse, anche alcune persone che ci vivono accanto (a volte senza che neppure ce ne accorgiamo), ci invitano a riflettere: natale non può essere festa dei doni, dei pranzi, ma deve diventare sempre più per ciascuno di noi, il modo per riscoprire un Amore che è nato per noi e che chiede a noi di sbocciare dal nostro cuore per chi ci sta attorno, ma anche per chi è lontano.

Lasciamolo entrare, allora questo bambino: facciamo pure festa con i nostri cari, ma cerchiamo di essere persone che sanno costruire ponti che sappiano unire e non barriere che dividano e allontanino i fratelli da noi.

Nel nostro tempo c’è troppa indifferenza. Se Dio fosse stato indifferente nei confronti dell’umanità peccatrice, non avrebbe mai mandato suo Figlio Gesù e noi saremmo rimasti sempre nell’oscurità del non sapere che abbiamo un Dio che ci ama e che vuole farsi chiamare Padre.

A tutti auguro un sereno Natale in famiglia, in particolare agli anziani, ai malati e ai poveri con la speranza che possa portare un anno migliore e ricco di salute, fede e amore

 

Buon Natale

Don Giuseppe

 

CAMMINANDO S’APRE IL CAMMINO

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Viandante, sono le tue orme la strada, nient’altro;

Viandante, non sei su una strada,

la strada la fai tu andando.

Mentre vai, si fa la strada e girandoti indietro vedrai

il sentiero che mai più calpesterai.

Viandante, non hai una strada, ma solo scie nel mare.

Machado

 

Non condivido in tutto questa poesia, ma mi aiuta ad esprimere i pensieri di questo momento.
È chiaro che andare via da queste comunità e da questo paese mi dispiace tantissimo.
Qui, grazie a Dio mio Padre, e a tutti quelli che ho incontrato, miei Fratelli, ho scoperto che “amare” o “servire il Regno” del Signore – che è il senso unico e scelto della mia vita – non è una teoria, ma un cammino.
Spesso ho pregato con i salmi: “Indicami Signore, la strada da percorrere e io la seguirò con fiducia” (Salmo 118), oppure ho chiesto che fosse Lui il mio Pastore (Salmo 22); ho capito che il Signore ci propone una Via, disposto sempre ad “aggiornarla” e che, nonostante i nostri smarrimenti,

il piano del Signore sussiste per sempre (Sal. 32).

Certo, ci sono cose che non possiamo definire noi
(il nascere, il morire…), e ci sono segni chiari di cosa sia “via della vita” e “via della morte” (Deut. 30,15-17), ma il cammino resta da tracciare quotidianamente.
In questi anni abbiamo intrecciato insieme la Parola potente di Cristo che ci ha fatto da Guida, la compagnia che ci siamo scambiati, la Realtà che abbiamo dovuto affrontare, cercando la Via della Vita piena.
Abbiamo scoperto il valore del coraggio e del rischiare perchè, come dice la poesia, la strada si fa andando,
la facciamo noi ogni giorno, e non è chiara in anticipo o, come traduceva fratel Arturo Paoli: Camminando s’apre il cammino.
La strada di vita che possiamo percorrere si forma in quell’ascolto della Sua Parola e della realtà (nostra e degli altri) che è la gioia e la lotta, o forse il lavoro, quotidiano!
Il tempo che ho vissuto in queste comunità è un pezzo di strada verso il Regno, dove la Preghiera, la Parola, la vita di comunità, le relazioni personali, gli incontri, le scelte,
le soddisfazioni e le delusioni, le intuizioni felici e quelle sbagliate sono stati gli ingredienti di un cammino
che mai più calpesterò, ma che apre un cammino nuovo
da vivere…
Di tutto questo posso solo dire GRAZIE e farne tesoro!
Se rileggo le orme sulla strada fatta, mi viene da pensare che le tre “P” che Papa Francesco consegnò a Bologna ci abbiano guidato in questi anni: Parola (di Dio), Pane (dell’Eucarestia, della preghiera liturgica), Poveri (quelli che accanto a me e come me hanno bisogno di attenzione più ancora che di cose).
 
Sempre il Papa, in un altro discorso, ha consegnato alla Chiesa anche tre “I”: Inquietudine, Incompletezza, Immaginazione. Queste tre “I” vorrei che fossero per il futuro che ci aspetta:
 
Inquietudine, dice il Papa: “Vi pongo una domanda: il vostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca? Solo l’inquietudine dà pace al cuore …”. L’inquietudine è necessaria per cercare sempre cose nuove e, se vissuta in Cristo, porta nell’abbraccio di Dio, ad una vita più vera sapendo che una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo.
 
Incompletezza, perché Dio ci sorprende sempre; nessuno di noi è già arrivato, né tantomeno è concluso un percorso: si è sempre lì a ricominciare con l’aiuto di tutti perché Lui è all’opera in tutti!
 
Immaginazione, perché dice il Papa “Il pensiero rigido non è divino perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte”. C’è bisogno di discernimento, ascoltando, alla presenza del Signore, le cose che accadono e il sentire degli uomini per immaginare un bene sempre maggiore sognando a occhi aperti e sempre non solo per se stessi “i veri sogni sono i sogni del ‘noi’” (Papa Francesco a Roma, 11 agosto 2018).
 
Così spero di sentire raccontare della zona pastorale di Sala Bolognese, come di una comunità dove non si dice “abbiamo sempre fatto così”, ma si cerca sempre una rinnovata fedeltà al Vangelo da accogliere e annunciare; e spero per me che passando da Castelmaggiore o in curia mi troviate, come sempre, un po’ inqueto e sognatore… magari senza esagerare!
 
Buon cammino, davvero!
don Paolo
 

Entrare nel mistero

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“Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla della sua presenza.” (P. Claudel)

La Pasqua del Signore rispecchia la realtà della nostra della nostra vita: il nostro quotidiano è tutto un alternarsi di vita, di sofferenza, di fallimenti, di parziali momenti di “morte” e di nuovi inizi, fino al giorno in cui, per ognuno di noi, questo mistero pasquale personale si compie definitivamente nella morte che apre quell’incontro pieno con il Padre. Fare in modo che la nostra realtà sia sempre piena della Presenza di Dio è far si che il mistero della Pasqua diventi la nostra vita quotidiana. Papa Francesco ci spiega come fare perché il mistero di Pasqua “abiti” la nostra vita quotidiana: “Entrare nel mistero della Pasqua di Gesù ci chiede di non avere paura della realtà: non chiudersi in sé stessi, non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo, non chiudere gli occhi davanti ai problemi, non negarli, non eliminare gli interrogativi….

Entrare nel mistero significa andare oltre le proprie comode sicurezze, oltre la pigrizia e l’indifferenza che ci frenano, e mettersi alla ricerca della verità, della bellezza e dell’amore, cercare un senso non scontato, una risposta non banale alle domande che ci mettono in crisi la nostra fede, la nostra fedeltà e la nostra ragione. Per entrare nel mistero ci vuole l’umiltà di abbassarsi, di scendere dal piedistallo del nostro io tanto orgoglioso, della nostra presunzione; l’umiltà di ridimensionarsi, riconoscendo quello che effettivamente siamo: delle creature, con pregi e difetti, dei peccatori bisognosi di perdono. Per entrare nel mistero ci vuole questo abbassamento che è impotenza, svuotamento delle proprie idolatrie…. Adorazione. Senza adorare non si può entrare nel mistero”.

 

Buona Pasqua

Le azioni strapotenti di Dio compiute nella nostra storia

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Siamo vicini al Venerdì santo e alla Pasqua, ai giorni delle azioni strapotenti compiute da Dio nella storia; delle azioni nelle quali il giudizio di Dio e la grazia di Dio divennero visibili a tutto il mondo:
giudizio in quelle ore, in cui Gesù Cristo, il Signore, pendette dalla croce.
Grazia in quell’ora, in cui la morte fu inghiottita dalla vittoria.
Non gli uomini hanno fatto qui qualcosa, no, soltanto Dio lo ha fatto. Egli ha percorso la via verso gli uomini con infinito amore. Ha giudicato ciò che è umano. E ha donato grazia al di là del merito. (D. Bonhoeffer)
Celebriamo, in questi giorni, due azioni strapotenti di Dio verso l’uomo:

  • lo svelamento del peccato e del suo frutto, cioè la morte;
  • l’opera della Grazia di Dio – manifestata dalla
    resurrezione di Gesù – che apre ad un futuro diverso.

Il peccato svelato
Nel Venerdì Santo, in cui si condanna a morte Gesù, si vede dove arriva l’uomo ebbro dell’attaccamento a se stesso e ai suoi privilegi: il potere romano, quello dei capi del popolo di Israele, le ambiguità incostanti della folla, le paure degli amici stessi di Gesù, fanno vedere una logica in cui l’uomo, pur di salvarsi, condanna e uccide l’altro.
Il peccato, nella sua radice, è questa affermazione di se ad ogni costo; il suo esito è la morte di qualcuno.
Questa logica non si ferma mai; così, appena la “ruota gira”, la stessa logica che ha ucciso si ritorce contro l’uccisore, in una interminabile trafila di momenti in cui l’esaltazione di sé cede il passo alla propria distruzione.
La logica svelata nel Venerdì Santo è sempre attuale

  • prende tutti: i singoli (nel mondo del lavoro, nelle

relazioni…) e i popoli interi, tentati di affermare se stessi a scapito di altri. Così la storia si riempie di tanti Venerdì di passione che gli uomini continuamente vivono e fanno vivere agli altri!
Gesù accoglie su di se questo delirio dell’uomo (“Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”): così il Venerdì Santo causato dal peccato e dalle sue “logiche”, diviene in Lui il dono della Sua vita, il segno supremo del non chiudersi mai all’altro (la croce è sempre abbraccio di Dio, dono di amore!).
La Grazia della resurrezione
11 sepolcro trovato vuoto il mattino di Pasqua dice che la logica con cui Gesù ha vissuto è accolta dal Padre ed è una inizio di Vita nuova, possibilità di un futuro diverso!
Gesù ha amato gli uomini, soprattutto i più deboli; non ha cercato il proprio interesse; ha saputo vivere con libertà di fronte alle cose, e soprattutto si è affidato al Padre e ne ha cercato la volontà.
Il Padre lo libera dalla morte e dichiara che questa è una strada di Vita, ora e per sempre. Chi la percorre con Lui avrà la Vita, ora e per sempre.
Superare la morte è un’azione potente di Dio, che proviene dalla Sua eternità e raggiunge il nostro mondo: si ripeterà per ogni suo figlio che seguirà le orme del Figlio Gesù.
Cosa dobbiamo fare?
La resurrezione, la vita per sempre, la liberazione dalle logiche del peccato che ci affaticano è pura azione di Dio, puro dono.
Come ogni dono chiede di essere riconosciuto, di essere accolto con gioia e gratitudine e di essere usato bene!
In questo anno Santo della Misericordia la salvezza che il Signore dà a noi susciti il desiderio di riconsiderare le nostre logiche alla luce del Cristo:
ricalcoliamo il peso (sempre eccessivo) che diamo alle cose materiali e quello (sempre carente) che diamo al prenderci cura delle relazioni con chi ci è accanto;
rivediamo il giudizio (sempre affrettato) sulle malefatte degli altri e l’impegno (sempre lento) a giocarci in prima persona per il bene comune;
ripensiamo all’ostinazione (accanita) con cui difendiamo le nostre posizioni e all’ascolto (distratto) con cui ci poniamo di fronte agli altri…
E il dono di Dio ci sosterrà in questa storia, spesso faticosa,
fino all’incontro con Lui.

Buona Pasqua! 

don Paolo

Dio si è fatto uomo

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“Noi diciamo che Tu devi di nuovo venire, ed è vero, ma non è propriamente un “nuovo” venire; poiché, nell’umanità che hai assunto in eterno per tua, non ci hai mai lasciato”. (Karl Rahner)  
Il Natale è Dio che si fa Dono  

Il Natale di Gesù di Nazareth, in senso stretto, non è un fatto “religioso”. Per religione, infatti, si intende il culto, i riti, le azioni che l’uomo “fa” per stare alla presenza di Dio. Ma l’uomo non fa nulla, fa tutto Lui! Questa è la vera novità: non qualcosa
che l’uomo merita o riesce ad ottenere con il suo sforzo, o grazie alla sua bontà, ma puro dono, pura iniziativa di Dio per venire ad abitare la vita di ogni uomo, là dove si trova.

O mio Dio non ti devo cercare lontano! Sei venuto in me, sei in ogni uomo: che io ti accolga, che io ti faccia posto e gusterò il tuo inestimabile dono di pace!  

L’incarnazione distingue l’esperienza cristiana da ogni altra esperienza religiosa perché il nostro Dio è venuto al di qua del cielo, in quel mondo che Egli ha creato, in quell’uomo che   Il Natale rende ogni uomo luogo “sacro”  Questo fatto rende ogni uomo luogo della presenza di Dio: io stesso e l’altro accanto a me, il mio amico e, addirittura, il mio nemico. Ogni uomo è luogo sacro, abitato dalla Sua presenza, incontro con Lui. Questo è il vero senso del Natale.

Dice papa Francesco:

“L’ideale cristiano inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone. Molti verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri…. Oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro. Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. ….tutti sandali davanti alla terra sacra dell’altro”. (cfr Es 3,5)

 La conseguenza pratica di questa certezza di fede è che questo Natale deve portarci ad aver voglia di ascoltare l’altro, di incontrarlo per davvero, di aiutarlo e, prima che è venuto e verrà, ora viene lì, nell’altro che vive con me o che incontro. E se lì c’è il Signore, lì c’è anche gioia vera e vita piena. Pregare il Signore nella Messa condivisa con i fratelli cuore, ricevere i sacramenti, l’Eucarestia e il Perdono… tutto è dato perché possiamo risanare le relazioni con gli altri!

Il Natale apre al dialogo con le esperienze religiose

Questo aspetto della nostra esperienza religiosa ci fa dire che non è vero che tutte le religioni sono uguali! Cristo svela veramente Dio, lo rende presente come puro dono di volta è reso prezioso e inviolabile dal Cristo stesso. Ma, ugualmente, è anche il fondamento della nostra “apertura” all’esperienza religiosa di altri.

Ancora il papa:

“La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti a comprendere quelle dell’altro e ognuno”.

 Certo che il Padre di Gesù Cristo è il Dio vero, ma nessun cristiano può avere la pretesa di esserne proprietario e il dialogo franco e leale con ogni uomo ci fa presentire una rispetto alla comprensione che sempre ne abbiamo… Un po’ come i Magi, le esperienze religiose presenti attorno a noi, ci portano in dono una comprensione più ricca del Padre nostro che ci salva in Cristo.

“A causa della violenza e del terrorismo si è diffuso un atteggiamento di sospetto o addirittura di condanna delle religioni. In realtà, benché nessuna religione sia immune dal fondamentalistiche o estremistiche in individui o gruppi, bisogna guardare ai valori positivi che esse vivono e che esse propongono, e che andare oltre”.

 Oltre ogni pregiudizio e oltre ogni fastidio e fatica dell’altro, abita il vero Buon Natale!

La sorpresa di Pasqua

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Da bimbi le “sorprese” ci appassionavano, perfino quelle, sempre un po’ deludenti, che si trovavano dentro le uova di pasqua! Chi è più giovane ama le sorprese, le cerca, le desidera… Più passano gli anni più diamo alla parola “sorpresa” un significato negativo: eventuali “sorprese” saranno solo grane… riteniamo quasi impossibili le sorprese positive. Tra adulti si dice spesso: “speriamo che oggi non ci siano sorprese!”.
Il tema della “sorpresa” è centrale nella pasqua cristiana perché quella Pasqua di duemila anni fa ha portato la sorpresa più grande: la morte è vinta, dalla morte si esce si va al Padre! Quella sublime sorpresa ha ancora qualcosa da dire oggi? Storie di violenza e di guerra ci hanno riempito gli occhi e il cuore nell’inverno appena trascorso. La poca chiarezza sui valori fondamentali (penso soprattutto alla famiglia), una litigiosità in continuo aumento, la “globalizzazione dell’indifferenza” (come dice il papa) rendono tutti più chiusi, preoccupati, arrabbiati… non c’è dubbio: abbiamo preso una strada sbagliata! Se apro il vangelo, scopro una particolare sintonia tra il nostro tempo e gli amici di Gesù dopo la morte del loro Maestro sulla croce del Calvario: la loro situazione è di profonda delusione; cosa si poteva sperare ancora dopo quella croce? Proprio in quella storia di tenebra è sorta la luce nuova, la sorpresa più grande che la storia umana abbia mai incontrato: il sepolcro è vuoto, Gesù si fa incontrare vivo, risorto. Tutto può ripartire… Dio Padre, risuscitando il crocifisso ha mostrato la Sua logica, il Suo punto di vista:

“Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi
entra dentro… Dio ama ciò che è perduto, ciò che non
è considerato, ciò che è emarginato, debole e affranto;
dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”;
dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”.
Dove gli uomini distolgono con indifferenza o
altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo
sguardo pieno di amore ardente e incomparabile.
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione
in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e
davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe
adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani
da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino
come mai lo era stato prima.
Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, affinché
comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua
vicinanza e della sua grazia”.

(D. Bonhoeffer)
Da qui riparte la storia dei cristiani che hanno reagito con speranza al male, sostenuti dalla vittoria del loro Signore. E’ una storia che ha steso semi di amore vero, di dono, di impegno sincero, alle volte un po’ folle, per la dignità e il bene di questo mondo. Non sono mancati tradimenti ed egoismi, ma quella Resurrezione ha portato vita nuova in tutti quelli che l’hanno accolta con cuore sincero e vi si sono affidati. Può succedere ancora. Dice il papa:

“Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla novità che Dio
vuole portare nella nostra vita! Non chiudiamoci in noi
stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai:
non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare,
non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo
a Lui… Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua
vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita!
Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa’ un piccolo
passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente,
accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra
difficile seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai
sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che
cerchi e la forza per vivere come Lui vuole”.

Nelle nostre comunità cristiane vogliamo vivere la sorpresa della Pasqua.
Lo faremo cantando insieme l’alleluia per la vittoria sulla morte che Gesù ha operato e alla quale ci affidiamo per riconoscere che ogni vita è in cammino verso il paradiso di Dio.Lo faremo riconoscendo i peccati che ci abitano e chiedendo il perdono perché, una volta perdonati, possiamo portare a tutti la gioia di ricominciare.
Lo faremo rifiutando l’indifferenza verso la sofferenza degli altri e continuando a condividere il tempo, gli affetti ed anche i beni con chi di noi fa più fatica.
Lo faremo accogliendo dal vangelo la notizia che la fatica per costruire il bene non è insensata, ma è il segno concreto che siamo uniti alla vittoria di Cristo.

Buona Pasqua!

don Paolo

Preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore (Papa Francesco)

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Simpatico questo papa, vero? Fa presa, piace, tutti lo citano… Chissà se tutti quelli che lo ammirano ne tessono le lodi stanno veramente ascoltando l’insegnamento di questo papa. Lo chiedo a noi cristiani, anche a me prete…In che direzione va la Chiesa di papa Francesco? Sicuramente va “fuori”, come dice sempre lui:

“Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”. (E. G. N.20)

In questo anno pastorale, nelle comunità parrocchiali di Padulle e Bonconvento, vorremmo prestare particolare attenzione al suo insegnamento riguardante l’impegno sociale, o come dice lui, più chiaramente, l’impegno per la costruzione di un mondo migliore. Il papa ne parla continuamente. Per lui, impegno sociale e Vangelo non si possono mai separare:

“Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini… Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto… La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene il giusto ordine della società e dello Stato sia compito principale della politica, la Chiesa non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia. Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore (n. 183)

La premessa essenziale del papa è la rinuncia ad una fede comoda ed individualista. Per Gesù comodità ed individualismo (cioè, in fin dei conti, il primato assoluto del nostro “mi fa star bene”!) non portano alla gioia del Vangelo. E’ un’illusione! Comodità ed individualismo generano piuttosto la paura di essere “scartati”: se perdo la mia comodità, se qualcosa non va nel verso giusto, in una società individualista sono condannato ad essere escluso: “Purtroppo nella nostra epoca, così ricca di tante conquiste e speranze, non mancano poteri e forze che finiscono per produrre una “cultura dello scarto”; e questa tende a divenire mentalità comune.” Qual’è l’alternativa? E’ una società dove c’è posto per tutti, senza scarto:

“Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo.” (n. 187)

Si inizia da un ascolto docile (cioè vero, che non parte da ideologie preconcette) ed attento. Questo fa evitare i giudizi trancianti e pone in ricerca di possibili vie, forse mai risolutive, ma capaci di invertire il cammino.Ma per il papa, ascoltare significa anche “fare”. Egli propone un recupero del significato profondo della solidarietà:

“Siamo invitati a compiere i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni”.(n. 188)

In questo cammino il papa non ha paura di chiedere un ripensamento del significato della proprietà privata:

“Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde”. (n. 189)

Lo spazio di questo articolo non permette ulteriori approfondimenti. Mi auguro due cose: che la nostra comunità, in questo anno, si dedichi seriamente, nella preghiera e nell’azione, alla costruzione di un mondo migliore. che la grandezza della sfida non scoraggi nessuno: meglio un solo piccolo passo nella via giusta, che una corsa, ma sulla via sbagliata.

Buon cammino!

don Paolo

Terremoto di Pasqua

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Tertulliano è un antico padre della chiesa (II secolo) che aveva, come noi, una domanda: “Cosa significa essere cristiani?” e rispondeva: “La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani:credendo in essa siamo tali”. Ciò che qualifica la fede dei cristiani è la risurrezione dei morti con il loro corpo e non solo l’immortalità dell’anima! Credere nella risurrezione non significa gettarsi nell’immaginazione di un mondo di zombi più o meno carini, ma piuttosto prendere sul serio alcune certezze:

La certezza della vita oltre la morte:

«Come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! […]. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15). La risurrezione di Gesù, centro della nostra Pasqua, è certezza assoluta che la meta della nostra vita non è la tomba, ma l’incontro con il Padre. L’orizzonte in cui leggere le nostre vicende non sono i pochi anni sulla terra, ma l’eternità. E ogni volta che una famiglia mette al mondo un figlio sappia che fa un gesto eterno!

La certezza del valore del nostro corpo:

la «risurrezione del corpo» significa che anche i nostri «corpi mortali» (Rm 8,11) riprenderanno vita. La scrittura è sobria nel descrivere il “come” di questa risurrezione, ma abbondante nel trarre conseguenze. Il corpo è ciò che ci identifica e ci permette di agire: se risorge il mio corpo significa che risorgo proprio io, con tutte le mie azioni e relazioni. Quindi ogni azione bella e buona del nostro corpo, anche la più nascosta, risorge con noi e prende valore eterno. La risurrezione è motivo ultimo di ogni gesto di amore che va al di là della giustizia, del merito e del buon senso. Si può perdonare e aiutare chi non se lo merita in nome della vita eterna del nostro corpo! Per fare il bene e testimoniare il Cristo, ci si può anche rimettere, fino a perdere le proprie cose (e perfino la vita), in nome della risurrezione! La risurrezione mette in guardia dalla profanazione del corpo che non può essere trattato come un semplice oggetto o (peggio) un giocattolo.

La certezza che la speranza non è un’illusione:

Dio opera veramente e con potenza indicibile: è giusto sperare e lottare con speranza. Al contrario, la rassegnazione è come il macigno posto all’imboccatura del sepolcro di Cristo; è la resa al “non c’è più nulla da fare” che avvilisce la dignità dell’uomo. La pietra rotolata via dal sepolcro di Cristo è l’inizio (se ci crediamo!) di un terremoto liberante: con l’aiuto del Risorto, noi possiamo togliere qualche masso che ci seppellisce e aiutare altri a fare altrettanto. Al posto di ogni tipo di rassegnazione vi auguro, con questo testo di don Tonino Bello un sano e liberante terremoto pasquale che ci dia il gusto di lottare sempre, per noi e per gli altri, per la luce e la vita… senza resa. Quel mattino Gesù indicò alle donne che anche i macigni vengono rimossi dai sepolcri. Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto. La mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro. Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del peccato. Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo, il terremoto di cui parla il vangelo, la festa dei macigni rotolati.

 

Buona Pasqua

 

don Paolo

Mamma mia che cosa grossa siamo noi

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Lo scrive Francesco Milli, un missionario francescano, fiorentino ex paracadutista, morto a 44 anni in Tanzania nel Natale del 1978, portato via da una forma violenta di malaria “perniciosa”. Lo scrive da uomo di fede che vive in una zona del mondo segnata “dall’inequità che genera violenza”, come dice papa Francesco, e da tanta povertà. In questo Natale di Gesù Cristo, mi fa pensare… Il Figlio di Dio viene nel mondo perché noi siamo “una cosa grossa”, un affare serio, preziosissimi per Lui:

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Dio si fa Bambino, compagno di strada dell’uomo, fino ad entrare nella sua morte per dargli occasione di salvezza. Venendo nel mondo è come se dicesse ad ogni uomo “tu sei prezioso! Per questo sono venuto, perché nessuno vada perduto, questa è la volontà del Padre”. Può sembrare strano, ma credere veramente nel Dio di Gesù Cristo significa credere con la stessa determinazione e chiarezza anche nel valore assoluto di ogni uomo. Sei credente quando riconosci la preziosità della vita che ti è data e la vivi in pienezza. Come? Papa Francesco dice:

“La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri…

Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri”,nelle tantissime forme in cui è possibile fare questo. Il papa continua affermando senza timore di smentita che l’attuale confusione personale e sociale ha una causa ben precisa:

“… la tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene.”

Se l’uomo credesse nella preziosità della propria e, insieme, dell’altrui vita, non lascerebbe spazio al cuore comodo e avaro! Impegnerebbe se stesso in una lotta per il bene: sperimenterebbe la gioia della fierezza, sentimento derivante dalla capacità di sopportare anche le difficoltà, il dolore e la fatica, per qualcosa di giusto, buono e grande. Per papa Francesco la tristezza individualista, che è il contrario della gioia della fierezza, nasce dal voler essere signori assoluti di se stessi, dal “fare quello che mi pare”. Che peccato quando noi, donne e uomini, più o meno adulti mettiamo il nostro tornaconto prima della ricerca del bene! E’ un’altra iniezione di tristezza a questo mondo. Che bello invece contemplare e trovare forza nella nascita di Gesù Cristo, venuto perché nulla vada perduto della bellezza originaria dell’uomo. Il Signore Gesù vuole il bene dell’uomo, la sua gioia: mi posso fidare della sua Parola, perfino dei suoi comandi. Per questo posso concludere citando ancora il papa e il suo accorato invito in questo Natale:

“Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore… Chi rischia, il Signore non lo delude.”

Buon Natale

don Paolo

Quell’avarizia insaziabile che è idolatria

L’avarizia non è solo una questione di attaccamento ai soldi. È un modo di pensare e di agire che si insinua in tutti gli ambiti della vita.

Indossando di volta in volta i panni dell’avidità, della cupidigia, dell’usura, della concupiscenza, della taccagneria o della grettezza, la struttura camaleontica dell’avarizia è tale che essa può addirittura assumere le sembianze della virtù. E’ il vizio che è cresciuto di più negli ultimi anni, ma ancora si fatica a chiamarlo “vizio”. Eppure l’avaro di oggi è posseduto dalle cose, le accumula, ma non le condivide. La sua infelicità è il fallimento del nostro stile di vita.” (Prof.  Stefano Zamagni)

Il cuore e la testa si riempiono di un pensiero, quasi ossessivo: “Sarò sazio solo quando avrò anche questo … o avrò fatto anche quello … o avrò sperimentato anche quest’altro”. Ma la sazietà non arriva mai! E neanche la pace dentro e intorno a noi! L’avidità è come un pozzo senza fondo, che esaurisce la persona nello sforzo incessante di soddisfare il bisogno senza mai raggiungere la soddisfazione. E la ricerca della ricchezza o, più in generale delle “cose” prende completamente tutto il nostro cuore, la nostra mente, le nostre forze; per questo il papa diceva qualche giorno fa:

“Io leggo i dieci comandamenti e nessuno parla male del denaro… contro quale comandamento pecco se cerco il denaro? Contro il primo comandamento perché il denaro diventa idolatria”.

Gesù denuncia più volte questo meccanismo e propone una via di guarigione. Al Signore sta a cuore il bene dell’uomo e sa che la via dell’attaccamento alle cose porta ad una brutta solitudine, una specie di isolamento ossessionato, in cui non c’è pace vera. E la medicina? Gesù propone il comandamento dell’amore: “Amatevi come io vi ho amato”. I cristiani, già negli Atti degli apostoli, hanno tradotto questo comando in una parola bellissima: comunione. La usiamo sia per dire l’amore di Gesù che incontriamo nella preghiera e specialmente nel “fare la comunione” a Messa, sia per dire lo stile degli uomini amati e salvati da Cristo: creare comunione tra noi, con gli altri. Sarà questo il tema del Congresso eucaristico di questo anno che porta il titolo: Eucarestia sorgente di comunione con Cristo e tra di noi. Noi siamo talmente abituati a queste parole che forse non incidono più nella nostra vita. Papa Francesco con il suo linguaggio semplice e concreto, ma soprattutto con la testimonianza di una vita che vive ciò che dice, ci fa sentire nuove le parole del Vangelo. Dice il papa:

“La Chiesa siamo tutti noi e se vogliamo essere cristiani dobbiamo fare come Gesù che si spogliò, diventò uomo e abbracciò la croce. Non dobbiamo essere cristiani da pasticceria… essere cristiani è un rapporto vitale con la persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è diventare simili a Lui». «Francesco d’Assisi testimonia che, chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e che ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della croce. La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia universale con le energie del cosmo… La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi prende su di sé il Suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato».

La via è questa. Dobbiamo cambiare la nostra testa e il nostro cuore: possiamo cominciare a credere che la vera pace sta nel vivere relazioni vere, a partire da quelli che mi sono più vicini. E le relazioni vere richiedono anche la fatica, il sacrificio, la capacità di rinuncia e di dono. Se cambiano testa e cuore poi si trovano anche le strutture per una nuova economia.

“Fa’, o Signore, che la forza dell’Eucaristia continui ad ardere nella nostra vita e diventi per noi santità, onestà, generosità,attenzione premurosa ai più deboli.  Rendici amabili con tutti, capaci di amicizia vera e sincera perché molti siano attratti a camminare verso Te”

 

Don Paolo

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